Saluto al Consigliere federale Schneider-Ammann
4’000 franchi per tutti, quali conseguenze per il Ticino?
È per me un grande piacere, oltre che un onore, poter dare il benvenuto al Consigliere federale Johann Schneider-Ammann, responsabile del Dipartimento federale dell’economia.
Attivo sin dagli anni ’80 nell’azienda di famiglia, la Ammann Group, il nostro Consigliere federale è stato presidente dell’Associazione svizzera delle industrie meccaniche, elettriche e dei metalli (Swissmem), e vanta un’ampia esperienza imprenditoriale che ha messo radici anche in Ticino, poco lontano da qui, dove da decenni opera la Mikron di Agno, azienda leader a livello mondiale nel settore delle macchine utensili, di cui è stato membro del Consiglio di amministrazione.
Un percorso che come imprenditore, prima ancora che come politico, lo colloca nel cuore alla realtà economica del nostro Paese e lo rende particolarmente cognito dei problemi e dei pericoli posti dal tema in votazione il 18 maggio, riguardante l’introduzione di un salario minimo di 4000 franchi.
Nach einer mehrmonatigen Durststrecke, während der unser Kanton aus den Top-Destinationen unserer Bundesräte verschwunden war, ist das Tessin dank einer seltsamen Konfiguration, wahrscheinlich durch die Ereignisse des 9.(neunten) Februars eingeleitet, plötzlich wieder auf den Landkarten des Bundesrates ganz gross gedruckt: kurz nach der letzten Abstimmung kam Bundesrätin Eveline Widmer-Schlumpf, die nicht so viel von unserer Lateiner Willkommenskultur mitbekommen hat, nach Agno. Dann kam Bundesrat Ueli Maurer und heute sind Sie da, Herr Bundesrat Schneider-Amman, und ehren uns mit ihrer Präsenz. In einigen Wochen wird schlussendlich noch Ihr Kollege BR Alain Berset durch den Gotthard reisen.
An diese regelmässige Präsenz von Bundesräten sind wir ausserhalb des Filmfestivals in Locarno nicht gewöhnt. Es ist jedoch ein gutes Zeichen und zeigt, dass Bern unsere Anliegen als Grenzkanton vermehrt ernst nimmt. Diese Dialogbereitschaft und Fähigkeit zuzuhören waren nicht immer ein Merkmal unserer Bundespolitiker, die jahrelang die Probleme der Personenfreizügigkeit für unseren Kanton und unsere Industrie minimisiert haben, oder sogar abgestritten haben.
Das Zuhören des Bundesrates und der Bundespolitik kann jedoch noch weiter verstärkt und vertieft werden, zum Beispiel bei den Steuerverhandlungen mit unserem südlichen Nachbar, oder bei der Problematik wie die italienischen Blacklists unsere Unternehmen arg in Bedrängnis setzen, oder auch betreffs der 3-jährigen Schliessung des Gotthardtunnels, welche die Wirtschaft des Kantons lahm legen würde, und nicht zuletzt beim Umsetzen der Abstimmung des 9. Februars.
Nel libro La Suisse ou l’Histoire d’un Peuple heureux pubblicato nel 1965, lo scrittore svizzero Denis de Rougemont completava la frase attribuita a Victor Hugo secondo cui « dans l’histoire des peuples, la Suisse aura le dernier mot » con il famoso « encore faut-il qu’elle le dise ».
L’ascesa economica del nostro paese, faticosamente costruita sullo sviluppo commerciale, finanziario e industriale, subisce da qualche tempo una fase di contrazione, non tanto negli indicatori economici che sono sempre e ancora positivi, ma in un altro parametro difficilmente misurabile che riguarda un cambiamento nella “mentalità”. Movimenti e ambienti avvezzi alle sirene del populismo, sia di destra che di sinistra (a dimostrazione che gli estremi quasi sempre si toccano!) minacciano di rompere, sotto molti aspetti, quella crescita economica e sociale, quell’equilibrio politico-sociale e geografico, che la Svizzera si era costruito con intelligenza, lungimiranza e pazienza nei lunghi secoli di prudenti trasformazioni ed adattamenti.
Solo il tempo dirà se queste mutazioni saranno positive o – come temo – negative. Solo il tempo ci dirà se la Svizzera avrà l’ultima parola, come profetizzato da Victor Hugo.
Entriamo dunque nell’attualità dell’agenda politica.
Le diverse iniziative popolari già passate in votazione e quelle che ancora devono essere sottoposte al popolo – ricordo anche l’iniziativa popolare Ecopop che chiede una forte limitazione dell’immigrazione o ancora l’iniziativa popolare per l’introduzione di un’imposta federale di successione e l’abolizione dell’imposizione fiscale forfettaria – rappresentano l’espressione di una chiara strategia politica voluta da chi, pur beneficiando del nostro ordinamento economico, lo vorrebbe sovvertire per motivi ideologici, nella migliore delle ipotesi, o per meri giochi di potere, nella peggiore.
Come se non bastasse gli stessi ambienti che continuano a frapporre ostacoli allo sviluppo economico, e quindi alla creazione di benessere, sono poi schierati in prima fila a chiedere alle imprese di creare sempre nuovi posti di lavoro, pagare molte imposte, e dal 18 maggio in poi magari versare anche un “salario sociale” di 4’000 franchi per risolvere un presunto problema di povertà, confuso con quello meno facilmente risolvibile di prezzi più alti che altrove.
In un clima politico esasperato anche ad arte soprattutto dai novelli pifferai (che di magico tuttavia, a differenza di quello di Hamelin hanno ben poco…), non certamente scevri da interessi elettorali, il Ticino – più che nel resto della Svizzera – si è avviato da tempo sulla pericolosa china del populismo, disprezzante nei confronti di chi fa impresa, e incline alla condanna collettiva di tutta una categoria, quella degli imprenditori, sospettati senza distinzione di versare salari da fame, praticare il dumping salariale, privilegiare manodopera frontaliera… con il solo scopo di massimizzare i profitti sulle spalle della manodopera indigena.
Lo ha detto chiaramente il presidente dell’AITI nel corso dell’assemblea della scorsa settimana e lo diciamo chiaramente ancora oggi: l’imprenditoria ticinese è sana, la gran parte degli imprenditori si comporta correttamente, un gran numero di ditte forma giovani apprendisti ticinesi, assume a parità di formazione i Ticinesi ed è favorevole al partenariato sociale. Ma sempre questa maggioranza di imprenditori chiede allo Stato e alla politica di essere messa nelle condizioni di poter agire con una mentalità imprenditoriale e non statalizzata.
Non mi soffermerò sui dettagli della votazione del 18 maggio prossimo, in quanto verranno spiegati dal nostro illustre oratore e dalla tavola rotonda che seguirà.
Mi preme tuttavia evidenziare due punti che mi stanno a cuore:
1) se il datore di lavoro sarà obbligato a pagare qualsiasi lavoratore almeno 4’000 franchi al mese, cercherà di collocare prima di tutto personale maggiormente qualificato. Questa semplice regola imprenditoriale penalizzerà pesantemente i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro, i quali faranno ancora più fatica a trovare un impiego.
2) L’iniziativa del salario minimo creerebbe danni ancora maggiori proprio in una regione di frontiera come la nostra. Anche se verrà adottato un sistema di contingenti della manodopera, un sì all’iniziativa trasmetterebbe alla vicina Italia, un paese confrontato da tempo con la peggiore crisi economica del secondo dopoguerra, un messaggio devastante: andate a lavorare in Ticino dove guadagnerete non meno di 3’000 euro netti al mese, uno stipendio che in Italia nemmeno un professore universitario forse percepisce.
Con queste brevi considerazioni concludo il mio saluto al nostro Consigliere federale Schneider-Ammann rinnovandogli i ringraziamenti per la sua disponibilità ad incontrare il mondo economico ticinese nella speranza che in futuro i problemi di un Cantone di frontiera come il nostro verranno maggiormente considerati a Berna.
Vi ringrazio per l’attenzione e cedo ora la parola a Luca Albertoni per la presentazione della tavola rotonda.
Fabio Regazzi
Consigliere nazionale
Presidente della Deputazione ticinese alle Camere