Iniziativa parlamentare – Interessi di mora applicati dalla Confederazione in linea con i tassi di mercato

Testo

Fondandomi sull’articolo 160 capoverso 1 della Costituzione federale e sull’articolo 107 della legge sul Parlamento, presento la seguente iniziativa: L’articolo 104 CO deve essere modificato sostituendo l’interesse moratorio attualmente vigente (pari al 5 %) con una disposizione che lo leghi all’andamento generale dei tassi d’interesse di mercato. Vanno altresì adeguati l’Ordinanza concernente l’interesse di mora in materia d’imposta preventiva, l’Ordinanza sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (OAVS) e tutti gli altri testi federali, leggi, ordinanze, circolari e disposizioni relativi agli interessi moratori.

Motivazione

Considerati il deterioramento della situazione congiunturale svizzera ed europea, la persistente forza del franco, i tassi d’interesse negativi applicati sui capitali da talune banche, l’economia svizzera e in particolare le piccole e medie imprese stanno vivendo un periodo difficile. In un tale contesto economico, un tasso d’interesse moratorio del 5 per cento o comunque fissato molto al di sopra dei tassi di mercato, viene percepito come un pesante onere finanziario aggiuntivo per molte imprese. Colpite sono in particolare le aziende che già versano in difficoltà finanziarie. Inoltre è prevedibile che questi costi supplementari vengano poi scaricati sui consumatori. Attualmente i tassi d’interesse della Banca nazionale per il Libor a tre mesi si attesta in una fascia di riferimento compresa tra lo -1.25 – -0.25 %. Altri tassi d’interesse di riferimento si trovano a livelli minimi se non negativi, ben al di sotto del 5 % previsto dal vigente articolo 104 CO. In un tale contesto appare pertanto opportuno adeguare al livello di mercato tutti gli interessi di mora applicati dalla Confederazione. È inoltre dubbio che un mantenimento dell’interesse moratorio a livelli così alti possa effettivamente portare a un miglioramento della morale di pagamento. Applicare da parte dell’Amministrazione federale delle contribuzioni un tasso d’interesse moratorio eccessivamente elevato rispetto all’andamento dei tassi di mercato può in definitiva costituire un comportamento iniquo soprattutto se rapportato ai tassi decisi dai Governi cantonali.

Lettera aperta ad Andreas Meyer, CEO FFS

Chiusura sportello FTIA di Giubiasco — errare humanum est, perseverare autem Diabolicum

Egregio Direttor Meyer,

Le scrivo a seguito della lettura del comunicato diramato ieri sera dalla Federazione ticinese integrazione andicap (Ftia) dopo I‘incontro avuto venerdì scorso con i rappresentanti delle FFS riguardo il futuro delta biglietteria di Giubiasco. Stando alla comunicazione ricevuta, la posizione delle FFS è rimasta immutata e persevera nella volontà di chiudere definitivamente Io sportello. In alternativa le Ferrovie hanno espresso la volontà di integrare i collaboratori Ftia in aree o altri istituti.

Come lei sa, sul merito di quell‘infelice decisione ho già dedicato un‘interrogazione al Consiglio federale tuttora pendente. Se mi vedo costretto a rivolgerle oggi, signor Direttore, questo scritto è per manifestarle la mia profonda delusione di uomo e di politico per non voler mantenere la promessa che lei aveva avuto la cura di comunicarmi personalmente due settimane or sono per telefono. In quella conversazione mi segnalava un suo chiaro desiderio di rivedere una decisione di cui sembrava aver sottovalutato la portata negativa, sia per la reazione sollevata in Ticino sia a livello di immagine per le FFS.

Sono quindi rimasto basito alla lettura della sua proposta di compromesso che denota ancora una volta una scarsa conoscenza del progetto di Giubiasco. Le ricordo che esso si prefigge di includere professionalmente persone con andicap all‘interno di un progetto regionale più ampio di partenariato pubblico (cantone Ticino e comune di Giubiasco), para pubblico (FFS) e privati (penso in particolare ad associazioni che fanno capo ai servizi dello sportello). Grazie agli sforzi di questi partner, e non solo delle FFS, oggi la biglietteria permette di offrire cinque posti di formazione a persone con disabilità consentendo agli agli allievi di migliorare le proprie competenze grazie al contatto diretto con la clientela.

Mi sfugge invero la logica della reiterata posizione di chiusura da parte di FFS, che se concretizzata, da un Iato non muterà di una virgola ii piano di risparmi da 1.2 miliardi l‘anno già annunciato, dall‘altro si tradurre in un indecoroso smembramento di un progetto di formazione funzionante ed apprezzato da 15 anni, che ha contribuito a dare dignità professionale a diverse persone portatrici di andicap.

II valore di un‘azienda e dei suoi manager la si misura nelle capacità che dimostrano di avere nel saper riconoscere la diversità dei profili dei propri collaboratori adattandoli alle loro particolari esigenze. Capacità che consente loro anche di acquisire una migliore comprensione delle differenze tra gli utenti, le Ioro sensibilità, la loro provenienza regionale, soprattutto se periferica, senza contare del ritorno in termini di immagine per essere riconosciuta quale azienda socialmente responsabile. Voglio sperare che le FFS non abbiano del tutto perso questa capacità che da sempre la qualifica precipuamente come servizio al pubblico.

Concludo quindi con un auspicio che rappresenta nel contempo una nota di speranza: speranza che le FFS sappiano dare un futuro all‘importanza simbolica, umana, ma anche aziendale della biglietteria di Giubiasco al di là di ogni considerazione di ordine economico.

Per questo piccolo gesto, il Ticino ve ne sarà grato.

La ringrazio per l‘attenzione e porgo i miei migliori saluti.

 

Fabio Regazzi

Consigliere nazionale

Berna/Gordola, 26 settembre 2016

Quell’economia verde ci mette in ginocchio

La Svizzera è già ai vertici delle principali classifiche sulla sostenibilità ambientale, il che è di per sé un onore, ma anche una missione per un’economia e una società avanzate come la nostra. Un dovere – e diciamocelo – anche una grande opportunità che ci porta ad investire nelle cosiddette cleantech, le energie pulite, alternative, innovative che alle nostre latitudini sono all’origine di un numero di brevetti depositati per persona…, ormai lo intuirete, tra i più alti al mondo.

È dunque più che lecito chiedersi dove trovi posto nel panorama politico l’iniziativa popolare “Economia verde”, oggetto in votazione il prossimo 25 settembre, che chiede che la Svizzera riduca la sua impronta ecologica entro il 2050 da 3 a 1 pianeta, o in altre parole riduca il consumo di risorse di quasi due terzi (-65%). Non ci vuole un luminare per capire che questo obiettivo è assurdo e irrealistico. Basti pensare che oggi solo economie sottosviluppate, che vivono di una produzione appena sufficiente per il paese stesso, come il Togo o le Filippine, raggiungono l’impronta ecologica auspicata dall’iniziativa.

Ancora una volta ci troviamo a dibattere di un’iniziativa irrealizzabile che prevede ampi spazi di delega alla politica per ogni sorta di soluzione qualora gli obiettivi troppo ambiziosi, per altro mai applicati in altre nazioni del mondo, non venissero raggiunti nei tempi prefissati.

La proposta è folle sotto diversi punti di vista, ma soprattutto per quanto riguarda le conseguenze che potrebbe avere per l’economia svizzera in generale, e per le aziende in particolare, soprattutto le piccole e medie, quelle che tutti a parole dicono di voler difendere.

L’obiettivo generale posto dall’iniziativa riguardo una gestione efficiente delle risorse è legittimo e non pone alcun problema. La maggior parte delle aziende hanno questa preoccupazione di preservare le risorse. Il guaio è semmai che gli obiettivi dell’iniziativa toccheranno le imprese a prescindere dagli sforzi che faranno in maniera spontanea per abbattere il loro impatto ambientale, poiché come detto gli scopi dell’iniziativa sono irrealizzabili nei tempi imposti, ossia il 2050. Bisognerà giocoforza adottare misure drastiche per diminuire i consumi, che andranno inevitabilmente ad incidere in modo importante nella nostri abitudini di vita. Lo Stato dovrà emettere prescrizioni severe che causeranno una nuova impennata della burocrazia, già asfissiante, e introdurre nuove tasse per ridurre la cosiddetta impronta ecologica di cui molti si sciacquano oggi la bocca senza sapere bene cosa sia. Si tratta invero di un lungo calcolo teorico, molto discutibile, che ci dice dove ci situiamo in termini di risorse consumate rispetto a quelle a disposizione del pianeta: oggi consumiamo come 3 pianeti, nel 2050 dovremmo consumare come uno. Un concetto – come spesso capita –  in voga quando l’iniziativa è stata lanciata, ma che nel frattempo ha perso slancio. Purtroppo però in caso di accettazione della proposta dei Verdi, la Svizzera sarebbe il primo paese a iscrivere la nozione questo concetto fumoso di impronta ecologica nella sua Costituzione e a dover di conseguenza ridurre industrie, impieghi, e conseguentemente anche il benessere che abbiamo faticosamente creato.

La politica energetica elvetica, come quella in altri settori, avrà successo anche in futuro se riuscirà a conciliare la protezione e l’utilizzo delle risorse con le esigenze dell’economia. È da quest’ultima che giunge il progresso tecnologico che negli ultimi anni ha permesso passi da gigante di cui approfitta non solo la Svizzera ma tutti i paesi industrializzati. Ed è in questo modo che la Svizzera sta contribuendo più di molti altri alla protezione del clima, ma smettiamola di pensare di assumere il ruolo di salvatori del pianeta come qualcuno vorrebbe lasciare intendere!

Il resto appartiene ad una politica ideologica e dogmatica che mi auguro il Popolo svizzero il prossimo 25 settembre saprà confinare al rango di esercizio di dialettica.

Per tutte queste ragioni voterò contro l’iniziativa popolare per “un’economia verde” e vi invito a fare altrettanto.

 

Fabio Regazzi, consigliere nazionale, presidente Associazione industrie ticinesi

Corriere del Ticino, 15 settembre 2016

Prima i nostri: non illudiamo i ticinesi

In Ticino il popolo si sta oramai abituando a votare iniziative popolari o modifiche legislative che o non hanno sufficiente base legale oppure promettono quello che non sono in grado di mantenere. Purtroppo è il caso anche dell’iniziativa popolare “Prima i nostri!”, in votazione il prossimo 25 settembre, che prevede in particolare d’introdurre il principio della “preferenza indigena” e la “complementarietà professionale” tra lavoratori svizzeri e stranieri, nonché d’introdurre il principio della “reciprocità” nell’applicazione degli accordi internazionali fra la Svizzera e gli altri paesi, Italia in particolare.

Gli iniziativisti hanno sicuramente azzeccato il nome dell’iniziativa, ma il vantaggio della loro proposta si ferma qui. Tutti i cittadini di questo Cantone, imprenditori compresi, si augurano che chi risiede in Ticino possa avere un posto di lavoro confacente e una remunerazione adeguata. Ciò non è sempre il caso evidentemente, ma il cittadino chiamato a fare una scelta il prossimo 25 settembre deve chiedersi seriamente se l’iniziativa “Prima i nostri!” sia la soluzione miracolo come sostenuto dai suoi promotori oppure l’ennesimo specchietto per le allodole.

Vi sono innanzitutto delle pesanti obiezioni giuridiche che ci portano a dire che l’iniziativa in votazione non è applicabile in quanto in evidente contrasto con il diritto federale: in effetti le misure da adottare spetterebbero semmai alla Confederazione e non al Cantone. Compito in primo luogo di chi ha voluto proporre questa iniziativa sarebbe semmai quello di formulare proposte e modifiche legislative a livello nazionale con una sufficiente base giuridica e corrispondenti anche agli impegni internazionali che la Svizzera ha preso con altri paesi e che sono stati sostenuti in votazione dal popolo svizzero in più occasioni. Purtroppo questo lavoro, sicuramente oneroso e complesso, non è stato fatto: molto più facile e comodo lanciare un’iniziativa dal titolo accattivante e di facile presa sulla popolazione!

Chi si volesse dare la briga di leggere il testo dell’iniziativa, dovrebbe rendersi conto che le proposte sono solo fumo negli occhi. Si prevede ad esempio che “sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero”. Letto così sembrerebbe estremamente facile applicare il principio della preferenza indigena, ma cosa significa concretamente tradurre il principio costituzionale in una legge d’applicazione? Come si traduce in legge il concetto di “pari qualifiche professionali”? E’ evidente che nelle assunzioni non ci si può limitare alla sola presa in considerazione dei diplomi scolastici e professionali della persona ma è necessario tenere conto ad esempio del suo grado di esperienza o delle conoscenze professionali e linguistiche acquisite nel tempo.

Come imprenditore e come presidente dell’AITI posso dire a ragion veduta, e senza timore di essere smentito, che la maggior parte delle nostre imprese nell’assunzione dei collaboratori si rivolge regolarmente agli uffici regionali di collocamento e ha una sensibilità verso l’assunzione di manodopera residente. Sicuramente dobbiamo sensibilizzare ancor di più gli imprenditori ad avere un occhio di riguardo nelle assunzioni per i lavoratori residenti, ma è illusorio pensare che l’iniziativa popolare “Prima i nostri!” sia la soluzione miracolo che farà sparire la disoccupazione in Ticino e il dumping salariale, permettendo a ogni ticinese di vivere sogni tranquilli.

Il controprogetto all’iniziativa elaborato dal Parlamento e sostenuto dal Governo è certamente una soluzione pragmatica che permette di concretizzare l’obiettivo dell’iniziativa di privilegiare nelle assunzioni i residenti in Ticino, che ovviamente anche come AITI condividiamo. Il controprogetto, a differenza dell’iniziativa, è concreto e si integra meglio nelle soluzioni all’applicazione dell’articolo costituzionale sull’immigrazione di massa che saranno discusse e decise a breve termine dal Parlamento federale.

“Prima i nostri!” formula delle promesse allettanti ma irrealizzabili perché richiederebbero modifiche di leggi federali senza alcuna garanzia di legittimità costituzionale e introduce una burocrazia di accertamento molto onerosa, senza raggiungere l’obiettivo di dare la preferenza ai lavoratori residenti nelle assunzioni. Sarebbe ora di finirla di illudere i Ticinesi con proposte che non risolvono alcun problema ma che servono solo a perpetuare il clima di perenne campagna elettorale che viviamo in questo Cantone.

 

Fabio Regazzi, Consigliere nazionale e Presidente AITI

La Regione, 15 settembre 2016

Interpellanza – FFS e le misure di risparmio sulle spalle delle persone con andicap

Testo:
Le FFS hanno deciso – a partire del 31.12.2017 – di non rinnovare più il contratto di collaborazione con la Federazione ticinese integrazione andicap (Ftia), che attualmente offre servizi legati ai trasporti alla stazione di Giubiasco, anche per conto del comune. Questo progetto assicura una formazione e un lavoro a 9 persone portatrici di andicap. Lo sportello di Giubiasco, unico nel suo genere, concretizza gli obiettivi della politica del Consiglio federale per una migliore integrazione delle persone con handicap nel mondo del lavoro ed è inoltre un importante centro formativo e professionale per le persone con disabilità.
Chiedo al CF:
1. Quali sono i motivi che hanno portato le FSS alla sua chiusura?
2. Qual è il risparmio stimato derivato da questa decisione?
3. Nell’ambito del pacchetto di risparmi decisi dalle FFS per il 2017, la chiusura dello sportello ammonta a quanto in termini percentuali?
4. È al corrente che questa decisione presa unilateralmente dalle FFS, con modalità di comunicazione discutibili, azzera anni di lavoro di tre partner istituzionali: Confederazione, cantone (attraverso l’Ufficio Assicurazione invalidità) e comune (Giubiasco)?
5. Quali alternative sono al vaglio delle FFS per consentire alle 9 persone impiegate di poter proseguire la propria formazione e il proprio inserimento professionale?
6. Non ritiene che questa decisione sia in netto contrasto con la politica di integrazione promossa dalla Confederazione per migliorare la situazione dei disabili?
7. Un’azienda parapubblica come le FFS non dovrebbe fungere da modello ed dare l’esempio a favore di una migliore integrazione professionale delle persone con andicap?
8. Come valuta  questa decisione l’Ufficio federale per le pari opportunità delle persone con disabilità?
Motivazione:
La Svizzera ha adottato diverse misure a sostegno di una migliore integrazione delle persone disabili. La legge sui disabili, diverse revisioni della legge sull’assicurazione per l’invalidità e il nuovo diritto di protezione degli adulti hanno notevolmente migliorato la situazione dei disabili nel nostro Paese. L’autodeterminazione e la partecipazione dei portatori di andicap vengono inoltre promosse dalla politica d’integrazione dello Stato sociale, a livello federale, cantonale e comunale. A maggior ragione un’azienda parastatale dovrebbe attenersi a questi principi e dare il buon esempio e non il contrario.

Iniziativa sull’AVS: un “plus” che vale “minus”

Il prossimo 25 settembre il popolo svizzero si pronuncerà sull’iniziativa dei sindacati «AVSplus», che propone un aumento del 10% di tutte le rendite AVS, attuali e future, per favorire – nell’intento degli iniziativisti – le rendite più modeste.

Una proposta sulla carta allettante: chi di voi, magari già in pensione, non vorrebbe vedere crescere la propria rendita vecchiaia del 10%? Sennonché, come per diverse altre iniziative popolari, si omette di precisare come finanziare questa crescita che costerà alla collettività ben 5.5 miliardi in più ogni anno. Questa somma si aggiunge al già annunciato deficit di 7.5 miliardi di franchi e alimenterà una voragine di ben 13 miliardi all’anno. Nemmeno una foresta di piantine dei soldi della favola di Pinocchio basterebbe per pagarli tutti!

Il Consiglio federale ha quindi chiarito questo aspetto. L’aumento delle rendite dovrà avvenire per il tramite dei meccanismi previsti dalla Costituzione, ossia con un aumento del prelievo dei contributi di datori di lavoro e delle persone attive. Ora, sappiamo come in Svizzera il costo del lavoro è già molto elevato se paragonato a livello internazionale. Un nuovo aumento graverebbe ancor più sulla competitività della nostra economia. Inoltre trovo personalmente ingiusto utilizzare le giovani generazioni come dei bancomat per prelevare dei miliardi di franchi dai salari, quando già oggi il futuro dell’AVS non è garantito.

Logica vorrebbe che prima si consolidasse il finanziamento dell’assicurazione vecchiaia, come previsto dal Consiglio federale con il progetto di riforma vecchiaia 2020 al vaglio delle Camere. In seconda battuta si potrebbe eventualmente ragionare – qualora i margini di finanziamento sussistano – ad un eventuale aumento delle rendite dei pensionati.

Altro aspetto sul quale sinistra e sindacati tacciono con evidente imbarazzo è l’iniquità sociale della loro proposta. Da un lato per finanziare questo aumento delle rendite dovranno essere adeguati i prelievi a carico dei datori di lavoro, ma anche quelli sul salario di tutti i salariati, anche con per i redditi più modesti, andando a colpire soprattutto famiglie confrontate con il continuo aumento dei premi malattia. Dall’altro verrà ridistribuito ad innaffiatoio salvo per i 9/10 dei redditi meno abbienti che fanno capo alle prestazioni complementari (PC). Anzi, per una persona su dieci dei beneficiari di PC la situazione sarebbe ancor più sfavorevole: perdendo il diritto alle PC, che a differenza delle rendite AVS sono fiscalmente esenti, le sue imposte aumenterebbero. Inoltre parte di loro potrebbe anche perdere il diritto ad altri sussidi, per i premi casse malati e l’esonero del canone della Billag, ad esempio. Rasentiamo la commedia dell’assurdo se pensiamo che è la sinistra a farsi promotrice di una riforma che favorirà i redditi più alti e penalizzerà quelli più bassi!

Introdotta nel 1948, è innegabile che l’assicurazione vecchiaia e superstiti comincia a manifestare inevitabilmente qualche acciacco. La sua riforma, resa soprattutto necessaria dall’allungamento della speranza di vita della popolazione e da una natalità insufficiente, richiede un articolato ripensamento dei meccanismi che non può prescindere dalla preoccupazione di non caricare troppo le giovani generazioni dall’onere del finanziamento. L’iniziativa AVSplus, oltre a chiamare alla cassa i giovani lavoratori già sotto pressione dal mercato del lavoro e da altri oneri del nostro sistema sociale, non aiuta a risolvere questo problema: anzi, è un “minus” per quelle fasce di popolazione con redditi modesti, e che la sinistra dovrebbe difendere anziché rendere più fragile.

Per questi motivi vi invito a votare No il 25 settembre prossimo.

 

Giornale del Popolo, 8 settembre 2016

Il tunnel di base del San Gottardo e il futuro del traffico merci europeo

Nicolas Perrin, CEO FFS Cargo

Paolo Beltraminelli, Presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino

Gentili signore e signori clienti di FFS Cargo

Collaboratrici e collaboratori di FFS Cargo,

quando capita di gettare lo sguardo tra due binari paralleli che vanno verso l’orizzonte, si capisce subito che c’è molto di più di acciaio, cemento e pietra.

Le ferrovie hanno dato forma alla Svizzera e rimodellato il cantone Ticino, non solo a livello di paesaggio, ma anche economico. Marco Solari porta sempre questo esempio. “La ferrovia ha connesso il Canton Ticino al resto della Svizzera verso la fine del ‘900. I primi, durante il viaggio inaugurale, a passare sotto le Alpi furono un gruppetto di giornalisti, tra cui uno della NZZ, che così hanno avuto la possibilità di visitare il Ticino. Il giornalista è tornato in redazione a Zurigo e raccontare ciò che aveva vissuto e tra le frasi che scrisse vi era “ho visto famiglie ticinesi abitare in case e abitazioni in cui anche i nostri maiali si sarebbero rifiutati di vivere”. Questo a dimostrazione di come il Ticino era sottosviluppato. Nel frattempo molte cose sono cambiate, grazie anche al collegamento ferroviario. La ferrovia ha quindi dato forma al nostro Paese: il luogo dove vivere, lavorare e trascorrere il tempo libero è stato segnato dalla crescita di questo sistema di trasporto. È grazie alla ferrovia, in particolare al primo tunnel del San Gottardo del 1882, che questo cantone è entrato nell’era moderna.

L’inaugurazione della galleria di base del Gottardo (GbG) occupa un’importante pagina nella storia elvetica e ticinese. Gli storici parleranno di un prima e un dopo Alptransit, come per la galleria del 1882. Negli ultimi mesi le analisi, i commenti si sono sprecati nel cercare di spiegare e magari anche anticipare quali saranno le ricadute, tutte quasi sempre positive, dell’apertura della GbG.

Ho presenziato all’inaugurazione della GbG/Alptransit a Pollegio lo scorso 1. di giugno provando un profondo senso di orgoglio per quanto realizzato dal nostro Paese. Orgoglio accresciuto nell’udire le parole di elogio espresse dai più importanti capi di Stato europei presenti all’evento. Tuttavia, proprio perché si snoda in Ticino, non sfugge ai ticinesi quella che a mio avviso rimane una grande opera incompiuta: lo sbocco a sud di Alptransit. Dopo l’apertura della Galleria del Ceneri nel 2020, il mancato proseguimento della linea con l’Italia rischia di compromettere seriamente la capacità di connessione del traffico merci svizzera con il sistema ferroviario europeo, e di riflesso condizionare lo sviluppo economico dell’intero Paese. In altre parole il rischio è quello di sfruttare solo parzialmente questo gigantesco investimento promosso e finanziato interamente dalla Svizzera. Uno scenario che dobbiamo assolutamente scongiurare.

La Svizzera è consapevole di questo rischio. L’accordo siglato il 31 maggio scorso a Lugano tra i CEO di FFS, DB e FS per migliorare l’offerta transfrontaliera tra Milano e Francoforte attesta della volontà elvetica di integrarsi meglio nella reta ferroviaria europea. Quanto le ferrovie stanno facendo è stato ben illustrato da Nicolas Perrin nel suo intervento. Riduzione dei tempi di percorrenza, introduzione di nuovo materiale rotabile, e corridoio a 4 metri sulla tratta svizzera e italiana Luino-Gallarate e Luino-Novara, per un investimento di 150milioni di CHF, sperando non sia una Stabio-Arcisate 2 (inaugurata da parte svizzera a fine 2014, mentre quella italiana è ancora in cantiere…) creeranno i presupposti per la nascita da fine 2020 di una ferrovia efficiente per il trasporto merci. I nostri vicini hanno dal canto loro promesso ampliamenti strutturali, la realizzazione di tre nuovi terminali di carico per il traffico merci nell’area di Milano e un ampliamento della tratta tra Mannheim e Basilea.

Tout va bien Madame la Marquise? Non proprio.

L’Europa ha lanciato nel gennaio 2014 un piano di investimenti sulle rotaie di 24 miliardi di euro entro il 2020 chiamato Trans-European Transport Networks (TEN-T). Alla sua base c’è il disegno di collegare aree diverse del continente da Est a Ovest, da Nord a Sud, con corridoi strategici:

  • 15’000 km linee ferroviarie trasformate in alta velocità
  • 35 progetti transfrontalieri per ridurre i colli di bottiglia
  • 94 principali porti europei con collegamenti ferroviari e stradali
  • 38 aeroporti.

L’impatto del TEN-T sarà enorme, non solo in termini di mobilità, ma anche per quel che riguarda l’occupazione. Stando ai dati forniti dalla Commissione europea dei trasporti potrebbe infatti portare alla creazione di 10 milioni di posti di lavoro e far crescere il PIL europeo al 2030 dell’1.8%. Anche rivedendo al ribasso queste cifre ci rendiamo conto che stiamo parlando di cambiamenti importanti che avranno un effetto diretto sull’economia dei trasporti e quindi sulla movimentazione delle merci. Il progetto TEN-T prevede infatti l’utilizzo delle linee ad alta velocità, inclusi i tunnel, per collegare i terminal delle merci agli scali aerei e ai porti, e per continuare il loro viaggio a velocità elevata (ogni treno con 20 carrozze può essere caricato e scaricato in 15 minuti, e trasportate oltre 100 t. di beni). La Svizzera viene menzionata in uno dei 30 progetti per la tratta Lione/Genova-Basilea-Duisburgo-Rotterdam-Anversa, mentre per le altre dorsali si preferisce altri percorsi. Quindi affermare come ha fatto settimana scorsa la nuova presidente del CdA di FFS Monika Ribar[1] che “la Svizzera è al centro dell’Europa e i nostri confinanti hanno bisogno della Svizzera per i collegamenti” è una valutazione parziale e fors’anche un po’ ottimistica. In realtà l’Europa ha bisogno di noi in un solo dei suoi 30 progetti prioritari…

Quindi alla domanda “cosa fa la politica svizzera per garantire la capacità di collegamento della GbG ai paesi confinanti?” rispondo che la nostra Ministra dei trasporti Doris Leuthard si sta impegnando per migliorare le connessioni del nostro paese con il Continente. Tuttavia rimane un problema di fondo: l’evoluzione dei sistemi di trasporto dei paesi confinanti non è paragonabile a quella svizzera. La politica europea in materia è infatti agli antipodi rispetto a quella elvetica. L’Europa punta sull’alta velocità che può oramai competere sulle medie distanza anche con il trasporto aereo grazie all’importante riduzione dei tempi di percorrenza. L’obiettivo di aumentare la competitività ferroviaria grazie all’ampliamento della rete ad alta velocità è centrale per la Commissione europea dei trasporti, ma rischia di lasciare il nostro Paese ai margini di qualsiasi riflessione fintantoché non avremo potenziato le connessioni transfrontaliere al nord e al sud della nostra rete Alptransit. Qui potremmo poi soffermarci su una differenza non solo semantica: stiamo provando a collegarci alla rete europea o ad integrarci? Solo quest’ultima volontà garantisce di non restare, prima o poi, in fuorigioco.

Sono passati 15 anni da quando il Parlamento svizzero si era fissato l’obiettivo di “ridurre entro 2009 a 650’000” il numero annuale di passaggi transalpini degli autocarri. Oggi si può affermare che questo ambizioso auspicio è stato disatteso in ampia misura e non di certo perché si è fatto poco (anzi è vero semmai il contrario!), quanto piuttosto perché l’obiettivo era oggettivamente irrealistico, una forzatura frutto del clima politico ma sprovvisto di qualsiasi fondamento. Nel contempo la politica svizzera dei trasporti si è concentrata su una distribuzione uniforme dei servizi ma ha trascurato l’integrazione nelle reti europee.

Nel 2020 la Svizzera avrà investito quasi 30 miliardi di franchi nell’ammodernamento della rete ferroviaria, ma “solo” 1.2 miliardi nei collegamenti alla rete europea ad alta velocità[2]. Questo per dire che il programma di ampliamento delle ferrovie svizzere si concentra quasi esclusivamente sui collegamenti ferroviari interni e per ora le connessioni transfrontaliere tra Svizzera ed EU non possono essere definite ad “alta velocità”. Inoltre come già evocato l’assenza di un allacciamento di Alptransit a sud di Lugano rimane una pesante lacuna nell’intero sistema ferroviario elvetico. Il recente accordo di Lugano è solo un tentativo per cercare di ovviare al nostro tallone di Achille, ma non basta.

Il ruolo di FFS Cargo nell’ambito dell’apertura della GbG e tra qualche anno di quella del Ceneri sarà quello di assicurare un trasporto merci su rotaia più performante e meno oneroso dell’attuale, in modo da reggere il confronto internazionale. In particolare la concorrenza da parte di altri corridoi europei, come il Berlino-Verona/Milano-Bologna-Napoli-Messina-Palermo. Nel contempo bisognerà gradualmente ridurre i sussidi per ottenere la massima efficienza in particolare nell’interscambio complessivo tra Svizzera-Italia e i Paesi interessati dai nostri valichi alpini. Non va poi sottaciuto che i tre porti del sistema ligure movimentano il 50% dei traffici container in import-export a livello italiano e sono pure oggetto di interventi infrastrutturali ed organizzativi di particolare rilevanza. Questo consentirà alla Svizzera e ad FFS-Cargo di giocare un ruolo chiave sul corridoio Reno-Alpi e per l’intero nord-ovest italiano, di grande importanza economica per noi svizzeri, ma anche per la Germania. Non da ultimo il nostro vicino italiano ha tutto l’interesse nel potenziamento di quest’asse che consentirebbe di ridurre i costi per minore immobilizzo delle merci e migliorare la competitività dei porti liguri rispetto ai flussi est-ovest tra Europa ed Asia.

Mi permetto di concludere questo intervento con un monito. Al di là dell’importanza certamente epocale della GbG e tra qualche anno (2020) di quella del Ceneri, la Svizzera non può illudersi di sedersi sugli allori ma deve assolutamente approntare quanto prima nuove visioni e un nuovo scenario di sviluppo della sua rete di trasporti transalpini che migliori le connessioni al nord e al sud delle sue frontiere. Come ad esempio affrontando seriamente alcune proposte creare uno sbocco a sud di Alptransit con un corridoio Lugano-Milano-Mediterraneo (LuMiMed) con una galleria sotto il ponte diga. In caso contrario, le nostre ipotesi di aumentare le condizioni di competitività saranno disattese se lo sviluppo della portualità ligure e dell’intera rete ferroviaria europea non saranno accompagnati in modo adeguato dallo sviluppo delle reti ferroviarie di accesso transfrontaliere con dal nostro Paese con il resto dell’Europa.

Come si può ben vedere siamo di fronte a numerose e difficili sfide che metteranno sotto pressione tutti gli attori della politica del trasporti. La Svizzera è sempre stata all’avanguardia su questo fronte ma per non perdere il treno dello sviluppo dovrà reagire rapidamente ai mutati scenari. Sono tuttavia fiducioso che abbiamo i mezzi per riuscirci.

 

 

[1] La Regione, 31.8.2016

[2] Maggi, Geninazzi, S-CAMBIARE, 2010, p. 19