Via Sicura: ritorno alla ragionevolezza

Nel 2012 il Parlamento aveva approvato l’oramai famoso pacchetto legislativo denominato Via Sicura proposto dal Consiglio federale quale controprogetto indiretto all’iniziativa popolare lanciata dall’associazione Road Cross, nata sull’onda dello sdegno e delle emozioni suscitate da alcuni gravissimi incidenti stradali verificatisi in svizzera tedesca con protagonisti alcuni giovani automobilisti. Via Sicura si prefiggeva dunque di aumentare la sicurezza sulle strade grazie ad un inasprimento delle norme per combattere in primis i cosiddetti “pirati della strada”. L’obiettivo era di per sé lodevole: si voleva dare un segnale chiaro ai conducenti irresponsabili, adottando delle punizioni esemplari in caso di gravi infrazioni al volante. Nel giro di pochi anni è invece emerso che nella prassi la maggior parte di coloro che sono stati condannati come “pirati della strada”, pur avendo commesso infrazioni di una certa gravità, non rientravano affatto in questa categoria. Purtroppo però le severe pene minime previste dalla legge (1 anno di reclusione dal profilo penale e 24 mesi di revoca della licenza di condurre da quello amministrativo), non conferivano praticamente alcun margine di manovra all’autorità giudicante, costringendola ad applicare queste rigide disposizioni senza poter considerare delle attenuanti soggettive e oggettive (dura lex, sed lex). Nella realtà queste normative hanno evidenziato delle palesi incongruenze nel nostro ordinamento penale: basti pensare che, solo per citare un paio di esempi, lo stupro e la rapina a mano armata sono puniti con una pena minima di 1 anno, mentre l’omicidio colposo non prevede nessuna pena minima. Fatto è che nei confronti del pacchetto Via Sicura sono vieppiù emerse delle critiche per delle pene ritenute inique e sproporzionate e questo non solo da parte di numerosi cittadini, ma addirittura anche da parte di diversi procuratori pubblici e professori di diritto penale. Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Da parte mia nel 2015 ho quindi inoltrato un’iniziativa parlamentare che chiedeva di rivedere le normative sul reato di pirateria della strada. In sostanza ho proposto di non prevedere nessuna pena detentiva minima per questo reato e di ridurre la sanzione amministrativa ad un minimo di 6 mesi, invece di 24. L’iniziativa venne accettata con una buona maggioranza dal Consiglio nazionale mentre che il Consiglio degli Stati la respinse di stretta misura, accogliendo però nel contempo un postulato che incaricava il Consiglio federale di fare una valutazione del pacchetto Via Sicura dalla sua introduzione e di proporre, se del caso, dei correttivi. Il relativo rapporto è stato pubblicato lo scorso 17 aprile 2017 e il contenuto è risultato decisamente interessante. Se da un lato il Consiglio federale ha riconosciuto che in generale gli effetti di Via Sicura sulla sicurezza stradale sono stati complessivamente positivi, dall’altro ha dovuto ammettere la necessità di adeguare alcune misure ritenute sproporzionate, rispettivamente inefficaci. Una posizione decisamente sorprendente e per certi versi anche coraggiosa vista l’emozionalità con cui generalmente viene trattato questo tema. In conclusione il Governo ha quindi suggerito alcune modifiche della legislazione su Via Sicura, riprendendo in particolare pari pari le due proposte formulate nel mio atto parlamentare. Nel frattempo entrambe le Camere hanno approvato a larga maggioranza una mozione che incarica il Consiglio federale di presentare un messaggio con le relative modifiche di legge, che dovrebbe giungere in Parlamento entro la fine del corrente anno. Personalmente non posso che rallegrarmi per questo cambio di rotta che consente di rimediare ad un errore di valutazione fatto a suo tempo dallo stesso Parlamento. Non si tratta tuttavia, ed è bene precisarlo a scanso di equivoci, di proteggere i pirati della strada nel vero senso della parola (che potranno, e anzi dovranno, essere condannati duramente anche in futuro) e nemmeno di ribaltare il pacchetto Via Sicura, quanto piuttosto di ristabilire la proporzionalità e un minimo di ragionevolezza.

 

Corriere del Ticino, 28 aprile 2018

“Il Ticino è industria: un’Agenda per la crescita dell’economia cantonale”

Relazione all’Assemblea generale ordinaria AITI

 

Egregio Signor Consigliere federale Ignazio Cassis

Signor Consigliere di Stato Christian Vitta

Signor Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli

Presidenti e Direttori delle associazioni economiche

Gentili Ospiti

Care e cari Associati

Ringrazio innanzitutto l’assemblea dei soci di AITI che mi ha appena rieletto per un secondo triennio alla Presidenza dell’Associazione industrie ticinesi. Grazie per la fiducia! Sono fiero di essere alla testa di una gloriosa associazione indipendente e dinamica che rappresenta di uno dei settori più importanti dell’economia cantonale.

Vorrei ringraziare il Consigliere federale Ignazio Cassis per avere accettato volentieri l’invito a partecipare alla nostra assemblea annuale. Caro Ignazio la tua presenza qui oggi a Lugano ci onora particolarmente. Sono sicuro – e lo stai già dimostrando concretamente – che la tua presenza in Consiglio federale rappresenta un valore aggiunto non solo per la Svizzera italiana ma anche per il resto della Svizzera. Sei a capo ora di un Dipartimento – gli Affari esteri – molto importante per il nostro paese e per la nostra economia. Noi tutti confidiamo nelle tue indubbie capacità e viviamo con piacere la passione che metti in quello che fai. Una parte del successo della nostra economia dipende anche dalle buone politiche messe in atto dalla Confederazione. Gli imprenditori ne sono consapevoli.

Crediamo anche che la partecipazione dell’economia alla costruzione del benessere collettivo sia nell’interesse generale di tutta la nostra società. Sappi pertanto che gli imprenditori che si battono per un’economia sana e lungimirante saranno sempre a fianco di una politica altrettanto costruttiva che guarda al bene generale del Paese.

Prima di affrontare i temi centrali della mia relazione, mi preme ricordare che questo fine settimana ha luogo un’importante votazione cantonale sul pacchetto fiscale e sociale, che invito tutti a sostenere. Chi non si è ancora espresso per corrispondenza non faccia mancare il proprio voto!

Si tratta infatti di un passo necessario per permettere al Ticino di rientrare nella media nazionale a livello fiscale. Purtroppo il nostro Cantone è scivolato nelle ultime posizioni della competitività fiscale in Svizzera e se non invertiremo la rotta, con l’abbandono dei regimi fiscali speciali a livello cantonale rischiamo di perdere buoni contribuenti che priviligieranno inevitabilmente altri Cantoni o altre nazioni.

La conseguenza sarà un appesantimento della fiscalità generale a carico di chi rimane sul territorio, dunque principalmente le piccole e medie imprese e il ceto medio.

Non si tratta affatto di un regalo ai ricchi come è stato definito impropriamente. Il pacchetto fiscale è il risultato di un patto di paese fra aziende, cittadini e Stato. Il miglioramento della fiscalità sulla sostanza delle persone fisiche e sul capitale delle persone giuridiche è nell’interesse di tutti i contribuenti. Il supporto agli investimenti in aziende innovative risponde all’obiettivo di sostenere sempre più la creazione di posti di lavoro qualificati sul territorio. D’altra parte, con l’entrata in vigore di diverse misure sociali, interamente finanziate dalle aziende, rispondiamo alle esigenze concrete di molte famiglie ticinesi che vogliono meglio gestire la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Un’operazione “win win” che non svuota affatto le casse pubbliche, bensì consolida il gettito fiscale e permette allo Stato di continuare a offrire alla collettività servizi pubblici di buon livello.

È per me un piacere potervi dare il benvenuto a questa 56ma Assemblea AITI. Filo conduttore della mia relazione è l’agenda che il mondo economico, le istituzioni e la politica e i cittadini devono mettere in atto per costruire il Ticino del futuro, quale parte integrante della Svizzera ma anche una regione economica importante a livello europeo e internazionale.

La mia sarà una descrizione dell’Agenda per l’industria e la crescita dell’economia cantonale che incentrerò su quattro temi, inevitabilmente legati tra di loro.

  1. L’industria nella trasformazione moderna
  2. Il ruolo degli imprenditori e dei lavoratori
  3. Un nuovo patto fra le parti sociali
  4. I temi che devono essere al centro dell’agenda politica

 

  1. L’industria nella trasformazione moderna

Viviamo un’epoca nella quale alle imprese e agli imprenditori viene richiesto di soddisfare numerose esigenze, ma non dimentichiamoci che lo scopo primario di ogni impresa è rimasto immutato nei secoli: fare profitto.

Il guadagno è infatti linfa essenziale di ogni azienda ed è la premessa per realizzare altri importanti obbiettivi: investimenti, creazione e mantenimento dei posti di lavoro, utilizzo delle nuove tecnologie, ricerca nell’ambito dei prodotti e dei processi produttivi, espansione verso nuovi mercati, gettito fiscale con il quale lo Stato eroga servizi essenziali a favore della collettività.

Di fronte all’ondata di populismo e di ipocrisia di chi considera il profitto come una sorta di delitto, vorrei ricordare Olof Palme, un socialista riformista, che diceva “Bisogna combattere la povertà non la ricchezza”. Parole di grande saggezza che sembrano però molto lontane dal pensiero di molti esponenti della sinistra nostrana tutt’oggi ancorati a schemi di lotta di classe di stampo marxista.

L’industria è entrata in una fase di profonde trasformazioni strutturali, legate prima di tutto alla globalizzazione e ai processi di digitalizzazione. Il progresso tecnologico detta le scelte economiche ma anche quelle politiche e sociali.

La storia delle nostre imprese è preziosa. Da essa deriva la loro capacità moderna d’innovare e trovare una collocazione adeguata nei mercati.

La storia è fatta di saperi tramandati da una generazione all’altra, di intuizioni che sono il frutto di competenze ma anche della capacità di guardare oltre il proprio orizzonte locale e nazionale. Nell’impresa dobbiamo dunque fare tesoro della storia, ma soprattutto come base di partenza e non quale vincolo per lo sviluppo stesso dell’azienda.

D’altra parte non possiamo affrontare la globalizzazione acriticamente. Se si ha però l’onestà di andare a leggere i dati e le situazioni si vedrà che la globalizzazione ha permesso di ridurre le disparità e sta facendo crescere economicamente continenti e nazioni rimaste in passato nel gruppo dei paesi poveri. Probabilmente però abbiamo davvero bisogno di gestire meglio la globalizzazione, per quanto possibile, creando il giusto mix di competitività, mercati e frontiere aperte, sostenendo le fasce più deboli della popolazione e rafforzando anche le loro competenze professionali.

Nella nostra società v’è chi pone le imprese in contrapposizione ai lavoratori e alla popolazione. In una realtà fatta quasi integralmente da piccole e medie aziende questa idea è completamente sbagliata, oltre che controproducente.

Aziende, lavoratori e cittadini sono tutti dalla stessa parte e tocca a ognuno di loro saper governare la globalizzazione. L’industria dell’era moderna è dunque quel luogo privilegiato dove si fa impresa, dove si innova, dove le persone fanno squadra, dove si anticipano i tempi e le tendenze che nuovi prodotti e processi produttivi andranno a creare. Ma oggi effettivamente l’azienda non è più solo quell’entità che dà un lavoro e un salario; è un attore sociale a pieno titolo e anche da questo punto di vista l’azienda è guardata e giudicata. Le collaboratrici e i collaboratori sono al centro del funzionamento dell’impresa. Non è tanto per dirlo ma perché le competenze delle persone diventano sempre più importanti e quelle aziende che sanno valorizzare queste competenze sanno anche imporsi rispetto alla concorrenza.

 

  1. Il ruolo degli imprenditori e dei lavoratori

“Se avessi chiesto ai miei clienti cosa avessero voluto, mi avrebbero risposto un cavallo più veloce”. Così si esprimeva l’imprenditore americano Henry Ford prima della fine del Novecento. Mentre Antoine de Saint-Exupery, famoso scrittore e aviatore francese diceva che “se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.

L’imprenditore ha l’obiettivo di far crescere la propria azienda e di trasmetterla nelle migliori condizioni alle future generazioni. Egli esprime dei valori che derivano sicuramente dalla proprietà e che sono coniugati nel lungo termine. L’imprenditore sa che il successo non è una vincita alla lotteria, immediata quanto effimera.

Egli non riversa la sua soddisfazione nel soddisfacimento contingente bensì nella crescita giorno dopo giorno della forza della propria azienda. Egli sa ascoltare il cliente e gli fornisce il bene o il servizio che richiede, tuttavia con la propria interpretazione del risultato.

L’imprenditore è il capitano di una squadra e come tale deve comportarsi. Sa mostrare la via e i mezzi per percorrerla ma anche essere ricettivo ai cambiamenti e al parere dei propri collaboratori. Oggi le imprese sono definite da reti di decisori; l’imprenditore è infine solo nelle decisioni ma non è solo nella loro determinazione e nella loro realizzazione. L’imprenditore è colui che sa vestire lo scopo e gli obiettivi dell’impresa con la sua visione del mondo, dei mercati e dei competitori. L’imprenditore ha un sogno e di esso deve fare partecipi i suoi collaboratori.

E’ possibile questo nel contesto di trasformazioni descritto al punto precedente? Si è possibile, è ancora possibile, perché la passione per la propria azienda e il proprio lavoro non può ancora – e aggiungo io fortunatamente – essere sostituita da un robot o da una macchina super intelligente. Certo, l’intelligenza artificiale darà ai robot capacità umane e forse noi umani potremmo un giorno fonderci con le macchine. Una prospettiva che può spaventare e che se del caso andrà governata. Nessuno sa dire con precisione dove ci porterà questa rivoluzione digitale, ma quello che è certo è che il cammino è tracciato e che lo sviluppo tecnologico non si fermerà.

La responsabilità sociale delle aziende da parte sua assegna un ruolo accresciuto alle collaboratrici e ai collaboratori delle imprese. Un buon clima di lavoro rafforza l’esercizio di espressione delle competenze delle persone. Il personale qualificato e i talenti, bene sempre più ricercato dalle imprese, sono attirati e mantenuti da aziende che sono capaci di avere una accresciuta sensibilità anche sociale e non più solo economica. Attenzione tuttavia a non voler cadere nella tentazione di regolare eccessivamente questi comportamenti virtuosi tramite leggi, lasciando invece tale compito alla responsabilità delle aziende stesse in un autentico spirito liberale.

 

3) Un nuovo patto fra le parti sociali

In Svizzera la rappresentanza delle parti sociali vive una situazione molto diversificata. In molte imprese esiste un rapporto diretto fra l’azienda e i lavoratori senza intermediazione e le cose funzionano senza particolari problemi e a piena soddisfazione di tutti. In altri contesti invece le parti sociali si sono affidate a contratti collettivi di lavoro, che non regolano solo gli aspetti salariali bensì molto di più.

Non possiamo non notare che il mondo del lavoro in Svizzera è percorso da tensioni crescenti.

Da un lato certamente vi possono essere motivi oggettivi dettati dal comportamento delle aziende che devono pur fare fronte alla competitività e alla globalizzazione con le armi a disposizione. Dall’altro lato notiamo però che una parte del sindacato assume un ruolo sempre più politico.

L’opinione pubblica viene istigata a considerare l’imprenditore come una sorta di criminale senza scrupoli; le distinzioni fra la buona imprenditoria (la gran parte) e la cattiva imprenditoria (la netta minoranza) sono sussurrate appena se non negate da chi cavalca una visione negativa dell’azienda.

In simili condizioni diventa difficile promuovere il dialogo. Eppure sarebbe più logico considerare imprenditori, aziende e lavoratori sulla medesima barca nel mare della globalizzazione. Non vince solo uno o l’altro: qui vincono o perdono tutti.

Giustamente, lo abbiamo già detto, all’impresa si chiede di avere anche un ruolo sociale. Ma anche ai lavoratori e a chi a volte li rappresenta ci permettiamo di chiedere qualcosa: comprendere le ragioni dell’impresa. Non ci può essere futuro in un mondo globalizzato senza entrare nel merito della flessibilità.

Alle imprese si chiede d’introdurre tutele crescenti dei lavoratori, ma in un mercato dove si deve soddisfare una produzione sempre più personalizzata non si può restare ancorati alle leggi e alle regole del passato. Flessibilità è per i sindacati un termine quasi tabù, per le aziende è invece un’esigenza imprescindibile.

Siamo e saremo sempre più una società digitale e interconnessa dove il lavoro sta conoscendo profonde trasformazioni. Il rifiuto di entrare in materia sulla flessibilità è un atteggiamento perdente che non solo non porterà alcun beneficio alle lavoratrici e ai lavoratori, ma che si rivelerà addirittura controproducente.

I sindacati ne prendano atto e abbadonino la visione della lotta di classe e dell’antagonismo verso le imprese. Colpire tutti per sanzionare (giustamente) gli abusi è un atteggiamento miope e poco lungimirante: la classica vittoria di Pirro.

 

4) I temi al centro dell’agenda politica ed economica

Al primo posto fra i temi che devono fare parte dell’agenda politica ed economica si pone l’innovazione. Essa è compito prima di tutto delle imprese. L’innovazione necessita di un ambiente favorevole e predisposto ad essa. Le aziende più abili nell’innovare sono quelle che le riservano un ruolo centrale nella strategia aziendale. Il compito degli imprenditori è dunque quello di cogliere per tempo questa necessità e di adoperarsi affinché tutta l’azienda sia un ambiente ricettivo all’innovazione.

Un altro fattore di successo della Svizzera è la cooperazione fra aziende e istituti accademici. Ne abbiamo un esempio in Ticino in particolare con la Supsi che è una scuola molto ricettiva all’innovazione e che lavora a stretto contatto con molte imprese industriali ticinesi per sviluppare progetti operativi promettenti a livello svizzero e internazionale. Questa soluzione della collaborazione fra aziende e scuole deve essere ulteriormente rafforzata.

Ma anche lo Stato ha un ruolo a sostegno dell’innovazione. Prima di tutto sostiene la ricerca fondamentale a livello universitario e la ricerca applicata nelle scuole universitarie professionali. Qui si tratta semmai di favorire ulteriormente la rapida trasmissione alle aziende dei risultati delle ricerche. Lo Stato ha pure il ruolo di sostenere tutti quegli enti sul territorio nazionale che hanno appunto il compito di trasferire le tecnologie e il sapere alle imprese. Ancora oggi circa la metà delle aziende svizzere ignora l’esistenza di Innosuisse, l’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, già denominata CTI (Commissione per la tecnologia e l’innovazione).

Dobbiamo tutti promuovere maggiormente la conoscenza di questi importanti gremi a sostegno dell’innovazione nelle aziende.

Non meno importante dell’innovazione è anche il tema della digitalizzazione. Anche questo è prima di tutto un compito delle imprese. Attraverso la digitalizzazione si creano nuovi modelli di business perché essa permette di ottimizzare i processi produttivi lungo tutta la catena di creazione del valore e soprattutto risponde alla domanda di produzione personalizzata, anche sulla scala più piccola delle PMI elvetiche sempre più rivolte ai mercati internazionali.

Il compito dello Stato è quello di favorire i processi aziendali di digitalizzazione. Due essenzialmente gli obiettivi: costituire un’infrastruttura informatica leader a livello mondiale, in quanto lo scambio di una mole di dati sempre maggiore a velocità sempre più elevate è la chiave del successo per la piena implementazione delle nuove tecnologie.

E creare altrettanto rapidamente le condizioni quadro giuridiche per quanto concerne la protezione dei dati, allo scopo di fare della Svizzera un luogo privilegiato nel mondo dello sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Un terzo tema centrale dell’Agenda politica ed economica è quello della formazione. La Svizzera, come sappiamo tutti, conosce un sistema tradizionale della formazione professionale duale che rappresenta ancora oggi la struttura portante di moltissime imprese svizzere. Se la Svizzera è un paese campione dell’innovazione nel mondo lo deve anche al fatto di avere sviluppato una formazione scolastica di base, una formazione professionale a livello secondario e terziario e una formazione accademica di ottimo livello. Occorre consolidare questa situazione aprendo tuttavia maggiormente la formazione ai processi di apprendimento dell’innovazione e della digitalizzazione. Qualche preoccupazione a questo proposito sorge. In Ticino assistiamo a continue polemiche politiche sull’evoluzione della scolarità obbligatoria che non lasciano presagire nulla di buono. Nell’ambito della formazione professionale scontiamo un decennale squilibrio fra formazioni più gettonate e formazioni che ogni anno presentano diversi posti di apprendistato liberi. Anche la suddivisione fra i sessi delle scelte professionali resta solidamente immutata a poche professioni.

Inoltre, le formazioni di livello terzario, quelle che portano all’ottenimento dei diplomi federali delle diverse professioni sono ancora troppo poco conosciute in Ticino.

Se la formazione svizzera vuole continuare a primeggiare nel mondo deve rapidamente adeguarsi alle esigenze formative dettate dalle nuove tecnologie. Anche per quanto concerne la formazione continua perché sempre più adulti sono confrontati alla necessità di aggiornare le proprie conoscenze professionali. La scuola oramai da tempo non ha più termine con il conseguimento di un attestato di capacità professionale, con un diploma federale o con una laurea. La scuola ci accompagna oramai durante tutte le fasi della vita.

Un quarto e ultimo tema che vorrei affrontare, ma ce ne sarebbero molti altri, è quello dell’accesso ai mercati, approfittando naturalmente anche della gradita presenza del nostro Ministro degli affari esteri. Come sappiamo e sovente ripetiamo, siamo un paese che guadagna 1 franco su 2 all’estero. Per le aziende svizzere la possibilità di accedere ai mercati esteri è fondamentale, così come lo è per le numerose aziende svizzere che nel tempo si sono internazionalizzate e producono pure all’estero.

La Svizzera ha sviluppato negli anni una rete capillare di accordi di libero scambio con una quarantina di paesi essenziali per la nostra economia.

La Svizzera è pure un paese che vede crescere l’importanza di mercati quali gli Stati Uniti, l’area asiatica e l’America del sud, senza dimenticare alcuni paesi dell’Est europeo. Ma l’Unione europea continua a restare il nostro principale partner politico e commerciale. Attendiamo di sentire dalle parole del Consigliere federale Ignazio Cassis il suo pensiero sull’impostazione della politica europea del Consiglio federale. Finalmente, e lo dico con sincero sollievo, il popolo svizzero sarà chiamato entro pochi anni a esprimersi sul quesito decisivo.

L’Unione democratica di centro dopo molte titubanze, si è infine decisa a chiedere in modo chiaro alle cittadine e ai cittadini svizzeri se vogliono mantenere oppure abbandonare il sistema degli accordi bilaterali che regolano le relazioni far la Svizzera e l’Unione europea. Per noi imprenditori la risposta è chiara, perché gli accordi bilaterali hanno portato più vantaggi che svantaggi, anche all’economia e alla popolazione ticinese nonostante i molti pareri contrari, tuttavia mai suffragati dalla realtà delle cifre.

Dal Consiglio federale anche le imprese ticinesi si attendono pertanto ogni sforzo tangibile e intangibile per mantenere l’apparato degli accordi bilaterali.

Gli imprenditori svizzeri e stranieri che investono in Svizzera hanno bisogno di stabilità. Quella stabilità tipicamente elvetica – delle norme giuridiche, politica, economica e monetaria e non ultimo sociale – che è un fattore d’attrazione per gli investimenti esteri nel nostro paese.

Al Consiglio federale gli imprenditori ticinesi chiedono una politica estera e una politica economica esterna moderne e orientate ai nuovi paradigmi di crescita economica e sociale a livello mondiale: tutela degli interessi economici elvetici nel mondo; sviluppo delle relazioni economiche e politiche anche al di fuori dell’Europa verso le nuove economie emergenti; garanzia dell’approvvigionamento energetico del paese; sostegno ai processi d’innovazione anche in un’ottica di collaborazione a livello internazionale fra imprese e fra istituzioni accademiche.

Tutto questo mantenendo naturalmente al centro dell’attenzione le nostre relazioni con l’Unione europea. Non esistono alternative credibili agli accordi bilaterali.

Diffidiamo dagli apprendisti stregoni e da chi preconizza un’autarchia della Svizzera, che farebbe scomparire in men che non si dica quanto di buono il nostro paese ha costruito nei secoli e nei decenni e che ha fatto la nostra fortuna. Dietro il “Made in Switzerland” non c’è chiusura, non c’è protezionismo. C’è invece il successo di un piccolo paese che è una delle potenze economiche del mondo, non per disgrazia altrui bensì per capacità proprie.

Gli imprenditori sono abituati a fare impresa con le regole a loro disposizione. Ma ciò non significa che si sia disposti ad accettare di tutto. Il vento della congiuntura volge al bello in questo 2018 anche se gli strascichi delle crisi economiche degli ultimi anni e del rafforzamento del franco svizzero non ci hanno abbandonato. Il contributo dell’industria nell’economia elvetica è importante e tutti devono adoperarsi per rafforzare la base produttiva nel nostro paese.

Se abbiamo superato tutti i momenti difficili dopo l’avvento degli accordi bilaterali Svizzera-UE lo dobbiamo a molti fattori, ma una buona parte del merito va riconosciuta agli imprenditori. Ma anche a uno splendido paese, la Svizzera, che continua a rappresentare nel mondo un grande laboratorio di esperienze, di convivenza fra religioni e culture differenti, di capacità professionali e innovative straordinarie. Signore e signori, questa è la Svizzera che vogliamo per cui adoperiamoci tutti affinché tale rimanga.

Buon lavoro, buoni affari e grazie dell’attenzione.

 

Fabio Regazzi, Presidente AITI

Saluto in occasione dell’Assemblea generale dell’Associazione svizzera dei aerodromi

Signor Matthias Jauslin, consigliere nazionale e Presidente Aero Club svizzero
Signora Andrea Muggli, direzione DATEC
Ing. Romano Bernegger, vice-direttore UFAC
Signor Paolo Caroni, vice-sindaco di Locarno
Ing. Markus Kaelin, membro di Direzione della Pilatus AG
Signor Yves Burkhardt, direttore Aero Club svizzero
Signor Jurg Marx, presidente dell’associazione svizzera degli aerodromi
Colonello Martin Hoessli, comandante della Base aerea di Locarno
Ing. Davide Pedrioli, delegato cantonale aviazione civile
Signore e Signori responsabili degli aeroporti svizzeri
Signore e signori,

Vi ringrazio per avermi invitato a portare un breve saluto nell’ambito della vostra assemblea.

Für mich als Politiker aus der Region Locarno, der einige Kilometer von hier aufgewachsen ist, stellt der Flughafen eine Präsenz und Grund für konstanten Stolz dar, vor allem wegen seiner militärischen, sportlichen und auch touristischen Bestimmung.
Im Verlauf meiner politischen Karriere hatte ich dann auch die Möglichkeit, die Flughafenrealität zu vertiefen, vor allem als Mitglied der Kommission für Verkehr und Fernmeldewesen des Nationalrats, welche regelmässig zu Themen über die Flugverkehrspolitik miteinbezogen wird, die wie andere Verkehrsträger in voller Entwicklung ist. Im Übrigen habe ich mich im letzten Jahr als Kommissionsberichterstatter um die Revision des Fluggesetzes gekümmert, die auf das Jahr 1948 zurückgeht.

Les améliorations apportées dans le cadre de la révision de la Loi sur l’aviation approuvée par le Chambres fédérales l’année dernière, ont introduit de nouveaux instruments de prévention des actes terroristes dirigés contre l’aviation civile, et a mis en place des procédures d’autorisation de collaboration plus efficaces par exemple avec Skyguide et d’autres prestataires de services de navigation aérienne.
Sur le plan helvétique, grâce à la présence de soixante aéroports régionaux et locaux, dont plus de la moitié sont à l’origine de mouvements d’aéronefs, l’aviation civile revêt une importance extraordinaire pour la Suisse. Elle assure la liaison de la Suisse avec l’Europe et le reste du monde. En générant un chiffre d’affaires de près de 10 milliards de francs (effets directs et indirects) et plus de 50 000 emplois équivalent temps plein, elle contribue significativement à la prospérité de la Suisse. Bien que le trafic aérien régulier soit reconnu comme partie intégrante des transports publics, l’État ne finance pas l’aviation, à quelques exceptions près. En 2014, la Confédération a dépensé 155 millions de francs pour le trafic aérien, lesquels confrontés avec les quasi 9 milliards de francs annuels qu’elle destine au financement d’autres formes de mobilité, me fait penser que l’aviation est un secteur stratégique qui mérite un œil de regard de la part des autorités cantonales et fédérale.
Per quel che riguarda il Ticino, l’attività aviatoria nasce con una vocazione essenzialmente sportiva ed acrobatica già nei primi decenni del XX secolo. Nel corso degli anni trenta si afferma l’aeroporto cantonale di Locarno-Magadino che ci accoglie oggi, che ottiene alcuni voli di linea internazionali, subito interrotti dallo scoppio della guerra.
L’importanza turistica e commerciale dei collegamenti aerei cresce nei decenni di forte espansione economica del secondo dopoguerra. Come per il forte incremento del traffico stradale, anche l’intensificarsi dei voli provoca disagi ambientali e suscita resistenze e proteste, motivate soprattutto dalla volontà di limitare l’inquinamento fonico. A ciò va attribuito in gran parte il rifiuto popolare del progetto d’ampliamento dell’aeroporto cantonale di Magadino (1969), che favorirà lo scalo di Lugano-Agno. Dopo questo voto, l’attività aviatoria, pure iniziata attorno agli anni trenta, era stata rilanciata a scopo soprattutto turistico alla fine degli anni cinquanta, su iniziativa della città di Lugano. L’affermarsi di Lugano quale terza piazza finanziaria elvetica, evidenzia la necessità di sviluppare i collegamenti aerei. Con l’inaugurazione dei voli di linea, Lugano-Agno entra dal 1980 nella rete internazionale dei trasporti aerei, e lo scalo luganese conosce un lungo periodo d’espansione, fino alla grave crisi di questi ultimi 20 anni, che ha colpito l’aviazione commerciale e d’affari.
Magadino ha invece indirizzato la sua attività verso il settore turistico-sportivo e l’uso dell’aereo quale mezzo di trasporto privato.

Heute kann das Tessin auf einen regionalen Flughafen zählen mit Linienflüge sowie auf eine Reihe von Flugplätzen ohne Konzession für Linienflüge. Von diesen ist Locarno der wichtigste in Bezug auf Verkehr und Entwicklungspotential, während Lodrino und Ambri nur bestimmte Zivilluftfahrtaktivitäten entwickeln können.
Man soll kein Hehl daraus machen, dass alle 4 Flugplätze turbulente Zeiten erleben, die immer wieder Existenz- und Berechtigungsdiskussionen aufkommen lassen, nicht aufgrund mangelnder politischen Unterstützung sondern aus rein wirtschaftlichen Gründen.
Was auch gesagt werden muss, ist dass die Nähe zum internationalen Flughafen von Milano-Malpensa in den letzten Zeiten die Schmerzgrenze der Tessiner Flugplätze immer wieder beeinflusst hat, auch wenn vor allem der Flugplatz von Lugano-Agno darunter am Leiden ist.
Es ist darum die Zeit gekommen um die Diskussion um die Unterstützung von regionalen Flugplatze wieder in Angriff zu nehmen. Es genügt nämlich nicht die Rolle dieser Flugplätze im Luftfahrtpolitischem Bericht festzuhalten, der vom Parlament abgesegnet wurde.
Auf die Worte sollten Taten folgen mit konkreten Hilfen die für gewisse erbrachte Dienstleistungen unabdingbar sind.
Die Wichtigkeit und Bedeutung der Regionalen Flughäfen darf sich nicht nur auf die Pilotenausbildung und die ökonomischen Wirksamkeiten begrenzen, sondern auch auf die positiven Externalitäten für Stakeholder wie die Luftfahrtindustrie, dessen Exzellenz weltweit bekannt ist.
Zum Beispiel in Locarno verfügt man seit 1940 über eine ausgezeichnete zivile und militärische Leitung die beiden Luftfahrten ermöglicht von guten Synergien zu profitieren. Man kann ohne weiteres sagen, dass wir heute nur dank der zivilen- und der militärischen Luftfahrt noch einen über einen Flughafen in dieser Region verfügen. Aus diesem Grund hat sich dann auch die Rega Basis Ticino, die Swiss Helicopter Group – immer noch als Eliticino SA bekannt – RUAG AG, Skyguide AG und weiter Unternehmen mit über 2000 Mitarbeiter niedergelassen haben, die insgesamt über 30 Millionen CHF in die Region bringen. Unter diesem Aspekt ist der Flugplatz ein Konzentrat dieses „Schweizer Modells“ weil es die Diversität und eine regionalen Dimension verknüpft. Das hat dazu geführt, dass er heute der 3. grösste Flugplatz der Schweiz ohne Linienfluge in Sachen „Luftverkehr“ ist.

Auch der Gütertransport ist in den Alpinen Kantonen ein wichtiges Kapitel. Und immer relevanter ist auch die Business- Sport- und Freizeitsparte, beziehungsweise die Funktion die die regionalen Flugplätzen einnehmen können. Der Effekte auf das Klima sind konstant evaluiert und haben zu Einschränkungen der Flüge pro Flugplatz geführt. Dabei sollte nicht vergessen werden, dass der technologische Fortschritt immer mehr dazu führt, dass die Flughäfen und Flugplätzen weniger Lärm und Luftverschmutzung verursachen. Der Umweltbelastung des Flughafens Locarno war im Zentrum einer vertieften Analyse, da ganz in der nähe ein Naturschutzgebiet ist.

Le contexte dans lequel évoluent les activités des aéroports dans les années qui viennent se dessine d’ores et déjà à grands traits : hausse du trafic mondial, poursuite de la libéralisation du transport aérien, concentration des compagnies aériennes
et développement des alliances, prépondérance du modèle économique low-cost, durcissement du cadre sécuritaire, renforcement des politiques environnementales, bouleversements technologiques.

Ce nouveau contexte imposera des investissements importants pour développer les capacités aéroportuaires et améliorer
la qualité de service aux voyageurs mais aussi pour répondre aux enjeux du développement durable et de l’innovation technologique. Il induira des hausses de coûts, notamment en matière de sécurité. Il entraînera une compétition plus vive entre les aéroports et les territoires pour attirer les résources nécessaires à leurs activités. S’il appartient aux exploitants aéroportuaires de construire l’aéroport de demain. Il appartient aussi à la politique de bâtir le cadre le plus favorable au développement de nos entreprises et de nos emplois. La Confédération est appelée à en prendre acte et à agire de conséquence.
Vi ringrazio dell’attenzione e vi auguro una piacevole giornata al sud delle Alpi.

Fabio Regazzi
Consigliere nazionale

Il coinvolgimento delle aziende nella conciliazione lavoro e famiglia

Coinvolgere e ingaggiare le imprese richiede tempi lunghi, soprattutto se chi guida e promuove le azioni di conciliazione lavoro e famiglia è lo Stato, un soggetto normalmente impegnato in ambito strettamente sociale. I mesi di lavoro che hanno preceduto la presentazione della Riforma fiscale e sociale in votazione il prossimo 29 aprile, hanno infatti evidenziato la necessità di costruire una relazione di fiducia, elemento imprescindibile per individuare strade e modalità possibili di lavoro comune, che hanno poi favorito l’accordo raggiunto per questa Riforma.

Il “patto di Paese” tra Stato, mondo economico e società attorno a delle misure fiscali abbinate a misure sociali, oltre che inedito, non era per nulla scontato. Soprattutto nelle piccole e medie imprese come la mia, che per la maggior parte si rifanno a un modello organizzativo di tipo familiare, l’avvicinamento ai temi della conciliazione consiste sempre in un’operazione culturale di sensibilizzazione che richiede tempi lunghi, di apprezzamento graduale, nel rispetto delle specificità delle singole imprese e dei bisogni dei lavoratori. Per questo – se accolta la Riforma fiscale – la parte sociale segna un indubbio passo in avanti nell’ambito della conciliabilità, sulla quale occorrerà ancora impegno e tempo per la sua attuazione.

Il coinvolgimento attivo del mondo aziendale in questa riforma è dunque stato fondamentale. A conti fatti il pacchetto approvato a dicembre dal Gran Consiglio prevede sgravi fiscali per 52 milioni di franchi e 20 milioni di aiuti sociali quando sarà a regime nel 2021. Misure che da un lato puntano a rilanciare l’attrattiva fiscale del Cantone, anche attraverso incentivi fiscali che favoriscono lo sviluppo di giovani aziende innovative (start-up) con a capo giovani generazioni. Dall’altro introducono in Ticino l’assegno parentale (3000 franchi per ogni neonato a genitori con un reddito lordo fino a 110’000 franchi) e altre misure di conciliabilità lavoro e famiglia. Questi provvedimenti sono il frutto di un esercizio di condivisione con il mondo economico, che ha accettato – inizialmente non senza alcune reticenze – di finanziare le misure sociali. Infatti, contrariamente a quanto affermato da taluni, queste risorse provengono direttamente dal fondo degli assegni familiari ordinari alimentato principalmente dalla massa salariale dei datori di lavoro (e non dei dipendenti), e in assenza delle misure sociali come responsabili di aziende avremmo anche potuto chiedere la retrocessione delle riserve cumulate.

Tuttavia è evidente anche a noi imprenditori, che un’economia in transizione verso una società basata sulle conoscenze dipende sempre di più da qualifiche, capacità di innovazione e creatività della forza lavoro. Una tale economia può permettersi sempre meno il lusso di escludere persone qualificate dal mercato del lavoro. Soprattutto quando l’esclusione è da ricondurre alla limitata possibilità di conciliare lavoro e famiglia, che non riguarda soltanto le madri lavoratrici, ma anche i giovani padri che vogliono dedicare più tempo alla famiglia. Una migliore armonizzazione tra lavoro e famiglia è importante dal punto di vista economico anche per un altro motivo. La mancanza di una prospettiva di compatibilità effettiva tra famiglia e attività professionale qualificata è pure una delle ragioni per cui tanto le donne quanto gli uomini decidono sempre più raramente di avere figli malgrado li desiderino. Ne consegue che il tasso di natalità in Ticino è in costante flessione dalla fine degli anni ’70, impattando in modo significativo sul finanziamento delle assicurazioni sociali. La ricerca di un migliore equilibrio tra famiglia e attività professionale costituisce dunque una sfida non solo per la politica ma anche per l’economia e di riflesso anche per le aziende. Per questi motivi, come imprenditore ritengo che per vincere queste sfide economiche e sociali è indubbiamente centrale il ruolo delle aziende. Si tratta ora di raccoglierle votando SÌ alla Riforma cantonale fiscale e sociale il prossimo 29 aprile.

Fabio Regazzi, consigliere nazionale e imprenditore

 

La Regione, 24 aprile 2018

Riforma fiscale e sociale: un patto di paese epocale

Il Cantone Ticino ha bisogno di dialogo, non di sterili contrapposizioni ideologiche. Ecco perché per una volta possiamo salutare positivamente questo esercizio di concordanza e pragmatismo che ha permesso di presentare una Riforma cantonale fiscale e sociale, frutto di un lavoro interdipartimentale (DFE e DSS), approvato dal Consiglio di Stato e dalla grande maggioranza del Gran Consiglio lo scorso mese di dicembre. Un buon esempio di democrazia, dove le forze politiche per una volta hanno privilegiato la ricerca del consenso piuttosto che la scontro fine a se stesso. Peccato quindi che il pacchetto di misure fiscali e sociali sarà comunque sottoposto al popolo il prossimo 29 aprile a seguito di un referendum contro le modifiche fiscali promosso dal fronte più intransigente e massimalista della sinistra nostrana, con il sostegno – ça va sans dire – di UNIA.

La Riforma cantonale fiscale e sociale è stata definita a giusta ragione un patto di paese fra cittadini, aziende e Stato. Da un lato quasi tutti riconoscono che il Ticino non è (più) un Cantone fiscalmente competitivo per diverse categorie di contribuenti, sia persone fisiche che giuridiche. Dall’altro lato sempre il Cantone Ticino deve implementare nuove misure sociali per venire maggiormente incontro alle esigenze delle famiglie, in particolare per quanto riguarda la conciliabilità fra lavoro e famiglia.

Il pacchetto fiscale va quindi a beneficio dei contribuenti e in particolare del ceto medio e delle persone con redditi più modesti. Perché dico questo? Molti ignorano che la fiscalità è un fattore di competitività importante. Il Ticino da questo punto di vista è in effetti in concorrenza con gli altri Cantoni svizzeri ma anche con altre nazioni. Purtroppo negli ultimi 10-15 anni il Ticino è scivolato nelle ultime posizioni della classifica. Ma la situazione è ancora più grave se pensiamo al fatto che proprio in nel nostro Cantone un numero esiguo di contribuenti con un reddito lordo di almeno 100’000 franchi – circa 18’000 persone su oltre 350’000 abitanti – paga più del 56 % del gettito fiscale delle persone fisiche, cioè circa 360 milioni di franchi sul totale di 643 milioni (ultimi dati disponibili del 2012).

È interesse di tutti quindi far sì che i buoni contribuenti continuino a risiedere in Ticino e non decidano di andare altrove, perché quando questo succede significa che i contribuenti restanti, dunque soprattutto del ceto medio, devono farsi carico del maggiore onere fiscale.

L’altro piatto della bilancia è costituito dalle misure sociali. Come presidente dell’Associazione industrie ticinesi (AITI) riconosco che l’autonomia delle famiglie e l’investimento sociale a loro favore è una responsabilità che deve assumere non soltanto il settore pubblico ma anche quello privato. Questo in considerazione delle ricadute positive che questa dinamica virtuosa tra riforma fiscale e sociale porterà alla società intera. Infatti gli aiuti a sostegno di una migliore conciliabilità lavoro e famiglia, e soprattutto il fatto di favorire il rientro nel mondo del lavoro tramite strutture extrascolastiche e incentivi che sostengano sia uomini che donne, è importante anche per il mondo economico. Queste misure, è bene sottolinearlo, sono finanziate esclusivamente dalle aziende quale contropartita a quelle fiscali, per tramite di un contributo supplementare dello 0.15% prelevati sulla massa salariale versata dalle aziende affiliate alla Cassa cantonale e a quelle professionali di compensazione per gli assegni famigliari.

Dunque, a scanso di equivoci, le misure sociali sono finanziate interamente dai datori di lavoro: sarebbe quindi sbagliato, oltre che ingeneroso, affermare il contrario: ne prendano nota i promotori del referendum! Si tratta di misure importanti, dell’ordine di 20 milioni di franchi annui a regime nel 2021, che le vituperate aziende metteranno a disposizione per finanziare interventi di natura sociale a favore delle famiglie. E scusate se è poco!

Ecco perché non esito a definire il patto di paese sul quale i cittadini si esprimeranno il prossimo 29 aprile una svolta epocale. Da un lato si riduce in maniera contenuta l’imposizione fiscale sulla sostanza delle persone fisiche e sul capitale delle aziende e si incentivano anche gli investimenti nelle cosiddette start-up per aiutare soprattutto giovani imprenditori a creare posti di lavoro qualificati; dall’altra parte le aziende finanziano il pacchetto di misure sociali. Una cosa deve comunque essere ben chiara: senza accettazione del pacchetto fiscale, come opportunamente ricordato dal Governo e dallo stesso Gran Consiglio, le misure sociali cadranno di conseguenza, poiché verrebbe meno la volontà politica che sorregge la logica alla base dell’intero progetto di riforma.

Alle cittadine e ai cittadini ticinesi chiedo dunque di votare un sì convinto al progetto di riforma fiscale in votazione il prossimo 29 aprile, che – se accolto – permetterà di far entrare in vigore anche il pacchetto di misure sociali finanziato dalle aziende.

 

Fabio Regazzi

Presidente AITI e Consigliere nazionale PPD

 

Corriere del Ticino, 21 aprile 2018

Manodopera femminile qualificata: la partita che la Svizzera non può perdere

Non giriamoci attorno: l’immigrazione è controversa in Ticino come in Svizzera. Gli animi si accendono in fretta al momento di discutere possibili modi o sistemi di regolazione. Non è però in discussione un fatto: alla nostra economia manca manodopera specializzata e le nostre imprese fanno viepiù fatica ad occupare i posti vacanti, cresciuti in Svizzera nel corso dell’ultimo anno del 17% (!). Senza contromisure adeguate il prezzo da pagare per la piazza economica rischia di essere alto.

Bisogna quindi chiedersi se non vi sia la possibilità di intervenire con politiche interne. L’obbligo di annuncio di posti vacanti appena introdotto in Svizzera, che impone alle imprese di segnalare agli URC i profili professionali ricercati, avrà probabilmente il beneficio di reclutare “prima i nostri”, ma in termini puramente numerici non basterà in alcun modo a far fronte alla carenza di manodopera. Vi sono però altri strumenti.

In modo poco sorprendente, l’Unione svizzera degli imprenditori – l’associazione mantello dell’economia svizzera con un focus sulla politica del mercato del lavoro – rileva regolarmente nei suoi studi un grande potenziale tra le madri, spesso a beneficio di formazioni di alto livello. Un loro maggiore coinvolgimento nel mercato del lavoro permetterebbe infatti di ridurre la necessità di manodopera estera. Secondo una recente statistica la quota di donne tra i 25 e i 54 anni con un impiego in Svizzera era del 82% nel 2015, una delle più elevate in Europa dopo la Svezia. Il tasso di occupazione femminile cala però al 70% tra le madri con almeno un figlio al di sotto dei 6 anni. Nel raffronto internazionale la Svizzera scivola così all’undicesimo posto. Inoltre la Svizzera si distingue per un tasso di madri che non lavorano a tempo pieno, che occupano il secondo rango nella classifica europea delle madri impiegate a tempo parziale. Se si aggiunge che solo le donne indicano tra le principali ragioni la cura dei figli e altre responsabilità familiari si capisce come in questo segmento, il potenziale supplementare di donne che lavorano a tempo parziale e che vorrebbero lavorare di più è molto elevato, ca. 15’000 posti di lavoro a tempo pieno. Uno sforzo va dunque concentrato sugli strumenti che permettono alle famiglie – madri e padri – di coniugare i loro impegni familiari a ruoli professionali attivi. I servizi di custodia di bambini, modelli e orari di lavoro flessibili, o il telelavoro, sono tra gli elementi su cui va messo l’accento con più vigore. In questo senso le misure pro-conciliabilità lavoro famiglia finanziate dalle imprese e votate dal popolo ticinese lo scorso nell’ambito della riforma fiscale e sociale lo scorso 29 aprile vanno nella giusta direzione.

Da anni l’Unione svizzera degli imprenditori si impegna in questa direzione: un maggiore coinvolgimento delle madri nel mercato del lavoro potrebbe non da ultimo correggere sviluppi poco auspicabili, come le differenze salariali tra uomo e donna, e consentire di attingere maggiormente nella riserva di talenti femminili per le funzioni dirigenti.

La Svizzera non può più permettersi il lusso di mantenere difficoltoso l’accesso a una manodopera qualificata come quella femminile. È una delle condizioni più importanti per la permanenza o l’insediamento delle imprese in Svizzera e non possiamo perdere questa partita.

 

Fabio Regazzi, Consigliere nazionale, membro di comitato dell’Unione svizzera imprenditori