Relazione all’Assemblea generale ordinaria AITI
Egregio Signor Consigliere federale Ignazio Cassis
Signor Consigliere di Stato Christian Vitta
Signor Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli
Presidenti e Direttori delle associazioni economiche
Gentili Ospiti
Care e cari Associati
Ringrazio innanzitutto l’assemblea dei soci di AITI che mi ha appena rieletto per un secondo triennio alla Presidenza dell’Associazione industrie ticinesi. Grazie per la fiducia! Sono fiero di essere alla testa di una gloriosa associazione indipendente e dinamica che rappresenta di uno dei settori più importanti dell’economia cantonale.
Vorrei ringraziare il Consigliere federale Ignazio Cassis per avere accettato volentieri l’invito a partecipare alla nostra assemblea annuale. Caro Ignazio la tua presenza qui oggi a Lugano ci onora particolarmente. Sono sicuro – e lo stai già dimostrando concretamente – che la tua presenza in Consiglio federale rappresenta un valore aggiunto non solo per la Svizzera italiana ma anche per il resto della Svizzera. Sei a capo ora di un Dipartimento – gli Affari esteri – molto importante per il nostro paese e per la nostra economia. Noi tutti confidiamo nelle tue indubbie capacità e viviamo con piacere la passione che metti in quello che fai. Una parte del successo della nostra economia dipende anche dalle buone politiche messe in atto dalla Confederazione. Gli imprenditori ne sono consapevoli.
Crediamo anche che la partecipazione dell’economia alla costruzione del benessere collettivo sia nell’interesse generale di tutta la nostra società. Sappi pertanto che gli imprenditori che si battono per un’economia sana e lungimirante saranno sempre a fianco di una politica altrettanto costruttiva che guarda al bene generale del Paese.
Prima di affrontare i temi centrali della mia relazione, mi preme ricordare che questo fine settimana ha luogo un’importante votazione cantonale sul pacchetto fiscale e sociale, che invito tutti a sostenere. Chi non si è ancora espresso per corrispondenza non faccia mancare il proprio voto!
Si tratta infatti di un passo necessario per permettere al Ticino di rientrare nella media nazionale a livello fiscale. Purtroppo il nostro Cantone è scivolato nelle ultime posizioni della competitività fiscale in Svizzera e se non invertiremo la rotta, con l’abbandono dei regimi fiscali speciali a livello cantonale rischiamo di perdere buoni contribuenti che priviligieranno inevitabilmente altri Cantoni o altre nazioni.
La conseguenza sarà un appesantimento della fiscalità generale a carico di chi rimane sul territorio, dunque principalmente le piccole e medie imprese e il ceto medio.
Non si tratta affatto di un regalo ai ricchi come è stato definito impropriamente. Il pacchetto fiscale è il risultato di un patto di paese fra aziende, cittadini e Stato. Il miglioramento della fiscalità sulla sostanza delle persone fisiche e sul capitale delle persone giuridiche è nell’interesse di tutti i contribuenti. Il supporto agli investimenti in aziende innovative risponde all’obiettivo di sostenere sempre più la creazione di posti di lavoro qualificati sul territorio. D’altra parte, con l’entrata in vigore di diverse misure sociali, interamente finanziate dalle aziende, rispondiamo alle esigenze concrete di molte famiglie ticinesi che vogliono meglio gestire la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Un’operazione “win win” che non svuota affatto le casse pubbliche, bensì consolida il gettito fiscale e permette allo Stato di continuare a offrire alla collettività servizi pubblici di buon livello.
È per me un piacere potervi dare il benvenuto a questa 56ma Assemblea AITI. Filo conduttore della mia relazione è l’agenda che il mondo economico, le istituzioni e la politica e i cittadini devono mettere in atto per costruire il Ticino del futuro, quale parte integrante della Svizzera ma anche una regione economica importante a livello europeo e internazionale.
La mia sarà una descrizione dell’Agenda per l’industria e la crescita dell’economia cantonale che incentrerò su quattro temi, inevitabilmente legati tra di loro.
- L’industria nella trasformazione moderna
- Il ruolo degli imprenditori e dei lavoratori
- Un nuovo patto fra le parti sociali
- I temi che devono essere al centro dell’agenda politica
- L’industria nella trasformazione moderna
Viviamo un’epoca nella quale alle imprese e agli imprenditori viene richiesto di soddisfare numerose esigenze, ma non dimentichiamoci che lo scopo primario di ogni impresa è rimasto immutato nei secoli: fare profitto.
Il guadagno è infatti linfa essenziale di ogni azienda ed è la premessa per realizzare altri importanti obbiettivi: investimenti, creazione e mantenimento dei posti di lavoro, utilizzo delle nuove tecnologie, ricerca nell’ambito dei prodotti e dei processi produttivi, espansione verso nuovi mercati, gettito fiscale con il quale lo Stato eroga servizi essenziali a favore della collettività.
Di fronte all’ondata di populismo e di ipocrisia di chi considera il profitto come una sorta di delitto, vorrei ricordare Olof Palme, un socialista riformista, che diceva “Bisogna combattere la povertà non la ricchezza”. Parole di grande saggezza che sembrano però molto lontane dal pensiero di molti esponenti della sinistra nostrana tutt’oggi ancorati a schemi di lotta di classe di stampo marxista.
L’industria è entrata in una fase di profonde trasformazioni strutturali, legate prima di tutto alla globalizzazione e ai processi di digitalizzazione. Il progresso tecnologico detta le scelte economiche ma anche quelle politiche e sociali.
La storia delle nostre imprese è preziosa. Da essa deriva la loro capacità moderna d’innovare e trovare una collocazione adeguata nei mercati.
La storia è fatta di saperi tramandati da una generazione all’altra, di intuizioni che sono il frutto di competenze ma anche della capacità di guardare oltre il proprio orizzonte locale e nazionale. Nell’impresa dobbiamo dunque fare tesoro della storia, ma soprattutto come base di partenza e non quale vincolo per lo sviluppo stesso dell’azienda.
D’altra parte non possiamo affrontare la globalizzazione acriticamente. Se si ha però l’onestà di andare a leggere i dati e le situazioni si vedrà che la globalizzazione ha permesso di ridurre le disparità e sta facendo crescere economicamente continenti e nazioni rimaste in passato nel gruppo dei paesi poveri. Probabilmente però abbiamo davvero bisogno di gestire meglio la globalizzazione, per quanto possibile, creando il giusto mix di competitività, mercati e frontiere aperte, sostenendo le fasce più deboli della popolazione e rafforzando anche le loro competenze professionali.
Nella nostra società v’è chi pone le imprese in contrapposizione ai lavoratori e alla popolazione. In una realtà fatta quasi integralmente da piccole e medie aziende questa idea è completamente sbagliata, oltre che controproducente.
Aziende, lavoratori e cittadini sono tutti dalla stessa parte e tocca a ognuno di loro saper governare la globalizzazione. L’industria dell’era moderna è dunque quel luogo privilegiato dove si fa impresa, dove si innova, dove le persone fanno squadra, dove si anticipano i tempi e le tendenze che nuovi prodotti e processi produttivi andranno a creare. Ma oggi effettivamente l’azienda non è più solo quell’entità che dà un lavoro e un salario; è un attore sociale a pieno titolo e anche da questo punto di vista l’azienda è guardata e giudicata. Le collaboratrici e i collaboratori sono al centro del funzionamento dell’impresa. Non è tanto per dirlo ma perché le competenze delle persone diventano sempre più importanti e quelle aziende che sanno valorizzare queste competenze sanno anche imporsi rispetto alla concorrenza.
- Il ruolo degli imprenditori e dei lavoratori
“Se avessi chiesto ai miei clienti cosa avessero voluto, mi avrebbero risposto un cavallo più veloce”. Così si esprimeva l’imprenditore americano Henry Ford prima della fine del Novecento. Mentre Antoine de Saint-Exupery, famoso scrittore e aviatore francese diceva che “se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.
L’imprenditore ha l’obiettivo di far crescere la propria azienda e di trasmetterla nelle migliori condizioni alle future generazioni. Egli esprime dei valori che derivano sicuramente dalla proprietà e che sono coniugati nel lungo termine. L’imprenditore sa che il successo non è una vincita alla lotteria, immediata quanto effimera.
Egli non riversa la sua soddisfazione nel soddisfacimento contingente bensì nella crescita giorno dopo giorno della forza della propria azienda. Egli sa ascoltare il cliente e gli fornisce il bene o il servizio che richiede, tuttavia con la propria interpretazione del risultato.
L’imprenditore è il capitano di una squadra e come tale deve comportarsi. Sa mostrare la via e i mezzi per percorrerla ma anche essere ricettivo ai cambiamenti e al parere dei propri collaboratori. Oggi le imprese sono definite da reti di decisori; l’imprenditore è infine solo nelle decisioni ma non è solo nella loro determinazione e nella loro realizzazione. L’imprenditore è colui che sa vestire lo scopo e gli obiettivi dell’impresa con la sua visione del mondo, dei mercati e dei competitori. L’imprenditore ha un sogno e di esso deve fare partecipi i suoi collaboratori.
E’ possibile questo nel contesto di trasformazioni descritto al punto precedente? Si è possibile, è ancora possibile, perché la passione per la propria azienda e il proprio lavoro non può ancora – e aggiungo io fortunatamente – essere sostituita da un robot o da una macchina super intelligente. Certo, l’intelligenza artificiale darà ai robot capacità umane e forse noi umani potremmo un giorno fonderci con le macchine. Una prospettiva che può spaventare e che se del caso andrà governata. Nessuno sa dire con precisione dove ci porterà questa rivoluzione digitale, ma quello che è certo è che il cammino è tracciato e che lo sviluppo tecnologico non si fermerà.
La responsabilità sociale delle aziende da parte sua assegna un ruolo accresciuto alle collaboratrici e ai collaboratori delle imprese. Un buon clima di lavoro rafforza l’esercizio di espressione delle competenze delle persone. Il personale qualificato e i talenti, bene sempre più ricercato dalle imprese, sono attirati e mantenuti da aziende che sono capaci di avere una accresciuta sensibilità anche sociale e non più solo economica. Attenzione tuttavia a non voler cadere nella tentazione di regolare eccessivamente questi comportamenti virtuosi tramite leggi, lasciando invece tale compito alla responsabilità delle aziende stesse in un autentico spirito liberale.
3) Un nuovo patto fra le parti sociali
In Svizzera la rappresentanza delle parti sociali vive una situazione molto diversificata. In molte imprese esiste un rapporto diretto fra l’azienda e i lavoratori senza intermediazione e le cose funzionano senza particolari problemi e a piena soddisfazione di tutti. In altri contesti invece le parti sociali si sono affidate a contratti collettivi di lavoro, che non regolano solo gli aspetti salariali bensì molto di più.
Non possiamo non notare che il mondo del lavoro in Svizzera è percorso da tensioni crescenti.
Da un lato certamente vi possono essere motivi oggettivi dettati dal comportamento delle aziende che devono pur fare fronte alla competitività e alla globalizzazione con le armi a disposizione. Dall’altro lato notiamo però che una parte del sindacato assume un ruolo sempre più politico.
L’opinione pubblica viene istigata a considerare l’imprenditore come una sorta di criminale senza scrupoli; le distinzioni fra la buona imprenditoria (la gran parte) e la cattiva imprenditoria (la netta minoranza) sono sussurrate appena se non negate da chi cavalca una visione negativa dell’azienda.
In simili condizioni diventa difficile promuovere il dialogo. Eppure sarebbe più logico considerare imprenditori, aziende e lavoratori sulla medesima barca nel mare della globalizzazione. Non vince solo uno o l’altro: qui vincono o perdono tutti.
Giustamente, lo abbiamo già detto, all’impresa si chiede di avere anche un ruolo sociale. Ma anche ai lavoratori e a chi a volte li rappresenta ci permettiamo di chiedere qualcosa: comprendere le ragioni dell’impresa. Non ci può essere futuro in un mondo globalizzato senza entrare nel merito della flessibilità.
Alle imprese si chiede d’introdurre tutele crescenti dei lavoratori, ma in un mercato dove si deve soddisfare una produzione sempre più personalizzata non si può restare ancorati alle leggi e alle regole del passato. Flessibilità è per i sindacati un termine quasi tabù, per le aziende è invece un’esigenza imprescindibile.
Siamo e saremo sempre più una società digitale e interconnessa dove il lavoro sta conoscendo profonde trasformazioni. Il rifiuto di entrare in materia sulla flessibilità è un atteggiamento perdente che non solo non porterà alcun beneficio alle lavoratrici e ai lavoratori, ma che si rivelerà addirittura controproducente.
I sindacati ne prendano atto e abbadonino la visione della lotta di classe e dell’antagonismo verso le imprese. Colpire tutti per sanzionare (giustamente) gli abusi è un atteggiamento miope e poco lungimirante: la classica vittoria di Pirro.
4) I temi al centro dell’agenda politica ed economica
Al primo posto fra i temi che devono fare parte dell’agenda politica ed economica si pone l’innovazione. Essa è compito prima di tutto delle imprese. L’innovazione necessita di un ambiente favorevole e predisposto ad essa. Le aziende più abili nell’innovare sono quelle che le riservano un ruolo centrale nella strategia aziendale. Il compito degli imprenditori è dunque quello di cogliere per tempo questa necessità e di adoperarsi affinché tutta l’azienda sia un ambiente ricettivo all’innovazione.
Un altro fattore di successo della Svizzera è la cooperazione fra aziende e istituti accademici. Ne abbiamo un esempio in Ticino in particolare con la Supsi che è una scuola molto ricettiva all’innovazione e che lavora a stretto contatto con molte imprese industriali ticinesi per sviluppare progetti operativi promettenti a livello svizzero e internazionale. Questa soluzione della collaborazione fra aziende e scuole deve essere ulteriormente rafforzata.
Ma anche lo Stato ha un ruolo a sostegno dell’innovazione. Prima di tutto sostiene la ricerca fondamentale a livello universitario e la ricerca applicata nelle scuole universitarie professionali. Qui si tratta semmai di favorire ulteriormente la rapida trasmissione alle aziende dei risultati delle ricerche. Lo Stato ha pure il ruolo di sostenere tutti quegli enti sul territorio nazionale che hanno appunto il compito di trasferire le tecnologie e il sapere alle imprese. Ancora oggi circa la metà delle aziende svizzere ignora l’esistenza di Innosuisse, l’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, già denominata CTI (Commissione per la tecnologia e l’innovazione).
Dobbiamo tutti promuovere maggiormente la conoscenza di questi importanti gremi a sostegno dell’innovazione nelle aziende.
Non meno importante dell’innovazione è anche il tema della digitalizzazione. Anche questo è prima di tutto un compito delle imprese. Attraverso la digitalizzazione si creano nuovi modelli di business perché essa permette di ottimizzare i processi produttivi lungo tutta la catena di creazione del valore e soprattutto risponde alla domanda di produzione personalizzata, anche sulla scala più piccola delle PMI elvetiche sempre più rivolte ai mercati internazionali.
Il compito dello Stato è quello di favorire i processi aziendali di digitalizzazione. Due essenzialmente gli obiettivi: costituire un’infrastruttura informatica leader a livello mondiale, in quanto lo scambio di una mole di dati sempre maggiore a velocità sempre più elevate è la chiave del successo per la piena implementazione delle nuove tecnologie.
E creare altrettanto rapidamente le condizioni quadro giuridiche per quanto concerne la protezione dei dati, allo scopo di fare della Svizzera un luogo privilegiato nel mondo dello sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione.
Un terzo tema centrale dell’Agenda politica ed economica è quello della formazione. La Svizzera, come sappiamo tutti, conosce un sistema tradizionale della formazione professionale duale che rappresenta ancora oggi la struttura portante di moltissime imprese svizzere. Se la Svizzera è un paese campione dell’innovazione nel mondo lo deve anche al fatto di avere sviluppato una formazione scolastica di base, una formazione professionale a livello secondario e terziario e una formazione accademica di ottimo livello. Occorre consolidare questa situazione aprendo tuttavia maggiormente la formazione ai processi di apprendimento dell’innovazione e della digitalizzazione. Qualche preoccupazione a questo proposito sorge. In Ticino assistiamo a continue polemiche politiche sull’evoluzione della scolarità obbligatoria che non lasciano presagire nulla di buono. Nell’ambito della formazione professionale scontiamo un decennale squilibrio fra formazioni più gettonate e formazioni che ogni anno presentano diversi posti di apprendistato liberi. Anche la suddivisione fra i sessi delle scelte professionali resta solidamente immutata a poche professioni.
Inoltre, le formazioni di livello terzario, quelle che portano all’ottenimento dei diplomi federali delle diverse professioni sono ancora troppo poco conosciute in Ticino.
Se la formazione svizzera vuole continuare a primeggiare nel mondo deve rapidamente adeguarsi alle esigenze formative dettate dalle nuove tecnologie. Anche per quanto concerne la formazione continua perché sempre più adulti sono confrontati alla necessità di aggiornare le proprie conoscenze professionali. La scuola oramai da tempo non ha più termine con il conseguimento di un attestato di capacità professionale, con un diploma federale o con una laurea. La scuola ci accompagna oramai durante tutte le fasi della vita.
Un quarto e ultimo tema che vorrei affrontare, ma ce ne sarebbero molti altri, è quello dell’accesso ai mercati, approfittando naturalmente anche della gradita presenza del nostro Ministro degli affari esteri. Come sappiamo e sovente ripetiamo, siamo un paese che guadagna 1 franco su 2 all’estero. Per le aziende svizzere la possibilità di accedere ai mercati esteri è fondamentale, così come lo è per le numerose aziende svizzere che nel tempo si sono internazionalizzate e producono pure all’estero.
La Svizzera ha sviluppato negli anni una rete capillare di accordi di libero scambio con una quarantina di paesi essenziali per la nostra economia.
La Svizzera è pure un paese che vede crescere l’importanza di mercati quali gli Stati Uniti, l’area asiatica e l’America del sud, senza dimenticare alcuni paesi dell’Est europeo. Ma l’Unione europea continua a restare il nostro principale partner politico e commerciale. Attendiamo di sentire dalle parole del Consigliere federale Ignazio Cassis il suo pensiero sull’impostazione della politica europea del Consiglio federale. Finalmente, e lo dico con sincero sollievo, il popolo svizzero sarà chiamato entro pochi anni a esprimersi sul quesito decisivo.
L’Unione democratica di centro dopo molte titubanze, si è infine decisa a chiedere in modo chiaro alle cittadine e ai cittadini svizzeri se vogliono mantenere oppure abbandonare il sistema degli accordi bilaterali che regolano le relazioni far la Svizzera e l’Unione europea. Per noi imprenditori la risposta è chiara, perché gli accordi bilaterali hanno portato più vantaggi che svantaggi, anche all’economia e alla popolazione ticinese nonostante i molti pareri contrari, tuttavia mai suffragati dalla realtà delle cifre.
Dal Consiglio federale anche le imprese ticinesi si attendono pertanto ogni sforzo tangibile e intangibile per mantenere l’apparato degli accordi bilaterali.
Gli imprenditori svizzeri e stranieri che investono in Svizzera hanno bisogno di stabilità. Quella stabilità tipicamente elvetica – delle norme giuridiche, politica, economica e monetaria e non ultimo sociale – che è un fattore d’attrazione per gli investimenti esteri nel nostro paese.
Al Consiglio federale gli imprenditori ticinesi chiedono una politica estera e una politica economica esterna moderne e orientate ai nuovi paradigmi di crescita economica e sociale a livello mondiale: tutela degli interessi economici elvetici nel mondo; sviluppo delle relazioni economiche e politiche anche al di fuori dell’Europa verso le nuove economie emergenti; garanzia dell’approvvigionamento energetico del paese; sostegno ai processi d’innovazione anche in un’ottica di collaborazione a livello internazionale fra imprese e fra istituzioni accademiche.
Tutto questo mantenendo naturalmente al centro dell’attenzione le nostre relazioni con l’Unione europea. Non esistono alternative credibili agli accordi bilaterali.
Diffidiamo dagli apprendisti stregoni e da chi preconizza un’autarchia della Svizzera, che farebbe scomparire in men che non si dica quanto di buono il nostro paese ha costruito nei secoli e nei decenni e che ha fatto la nostra fortuna. Dietro il “Made in Switzerland” non c’è chiusura, non c’è protezionismo. C’è invece il successo di un piccolo paese che è una delle potenze economiche del mondo, non per disgrazia altrui bensì per capacità proprie.
Gli imprenditori sono abituati a fare impresa con le regole a loro disposizione. Ma ciò non significa che si sia disposti ad accettare di tutto. Il vento della congiuntura volge al bello in questo 2018 anche se gli strascichi delle crisi economiche degli ultimi anni e del rafforzamento del franco svizzero non ci hanno abbandonato. Il contributo dell’industria nell’economia elvetica è importante e tutti devono adoperarsi per rafforzare la base produttiva nel nostro paese.
Se abbiamo superato tutti i momenti difficili dopo l’avvento degli accordi bilaterali Svizzera-UE lo dobbiamo a molti fattori, ma una buona parte del merito va riconosciuta agli imprenditori. Ma anche a uno splendido paese, la Svizzera, che continua a rappresentare nel mondo un grande laboratorio di esperienze, di convivenza fra religioni e culture differenti, di capacità professionali e innovative straordinarie. Signore e signori, questa è la Svizzera che vogliamo per cui adoperiamoci tutti affinché tale rimanga.
Buon lavoro, buoni affari e grazie dell’attenzione.
Fabio Regazzi, Presidente AITI