Vita e impresa: la partecipazione femminile e maschile al lavoro

Intervento all’Assemblea generale ordinaria AITI

Locarno, Teatro, 27 maggio 2019

 

Signora Antonella Clerici, nostra ospite d’onore: benvenuta tra noi!

Signora Marina Carobbio, Prima cittadina svizzera, nonché consigliere nazionale

Signor Christian Vitta, Consigliere di Stato e Presidente del Governo ticinese

Cari colleghi alle Camere federali: Fabio Abate, Rocco Cattaneo, Giovanni Merlini e Marco Romano

Gentili signore, egregi signori,

È per me un piacere oltre che un onore personale, darvi il benvenuto a questa 57esima assemblea ordinaria dell’Associazione industrie ticinesi.

Noi non viviamo in un’epoca di cambiamento ma in un cambio d’epoca”, scrive il Prof. Jan Rotmans[1] dando voce a una sensazione che avvertiamo ogni giorno.

Eppure la storia ci dice che l’uomo e le organizzazioni economiche e sociali cui egli dà vita, si sono già trovati più volte di fronte a questi momenti di cambiamento e che spesso alcune “minoranze creative”, proprio in queste occasioni hanno generato paradigmi, riflessioni e modelli innovativi.

È quello che è accaduto e sta accadendo in questi anni anche in Ticino, senza che ce ne rendiamo conto. Mentre i mass media ci inondavano di messaggi contrastanti e spesso negativi sulla nostra realtà economica e industriale, mentre la politica in alcuni episodi non ha dato il meglio di sé, mentre in altri paesi stanno prevalendo ideologie ostili soprattutto alla diversità, alcune persone, invero non poche, e le loro imprese, stavano già percorrendo nuove strade per raggiungere altri obiettivi.

È a queste imprese, alle donne e agli uomini che con competenza e passione le animano, che è dedicata questa Assemblea, nella certezza che soprattutto ascoltando le loro storie sia possibile recuperare alcune chiavi di lettura e soluzioni che questo cambiamento epocale ci esorta a sviluppare.

Parleremo quindi di voi e del capitale umano che compone le vostre aziende.

Per capire il perché dell’oggi dobbiamo però fare un passo indietro di qualche decennio.

 

I gloriosi anni ’60: la casalinga e l’imprenditore

Correvano gli anni ’60, quelli del boom economico. Ma per le donne invece del progresso regnava la segregazione domestica, che era molto maggiore rispetto a un secolo prima, quando l’economia agricola poggiava anche sul contributo delle donne che affiancavano gli uomini nelle fatiche dei campi.

Agli inizi del Novecento in Ticino, il settore industriale registrava ancora una forte crescita dell’occupazione femminile, che raggiunse il 40% della popolazione residente nel 1920, per toccare il 50% nel 1926.[2] Una proporzione che la letteratura storica colloca persino superiore ai dati svizzeri.[3] Dopo la seconda guerra mondiale, con l’avvento della crescita economica, si rafforzò la suddivisione dei ruoli che scalzò la manodopera femminile dal mercato del lavoro. Per loro il tasso di attività (definizione dell’epoca) scese al di sotto del 30% già agli inizi degli anni ’50 e toccò il suo punto più basso nella storia del Ticino agli inizi degli anni ’60 con un 28% di donne lavoratrici.[4]

Erano gli anni in cui la forte pressione sociale esercitata sulle donne le induceva ad abbandonare studi e lavoro per sposarsi.

Fu in quel contesto che tra il 72% che componeva l’esercito delle casalinghe per definizione professionalmente “inattive”, vi era Elena, nata Reggiori, che nel 1961 convolò a nozze con Efrem Regazzi. Un brillante imprenditore del locarnese, fortemente impegnato in quel periodo a trasformare la rustica forgia ereditata dal padre Roberto in una moderna industria, da dove più tardi uscirono le persiane avvolgibili, considerate ancor oggi il prodotto di punta dell’azienda.

Il 22 giugno 1962, data che per una strana congiunzione astrale coincide con la fondazione di AITI, nessuno del personale ostetrico dell’Ospedale Santa Chiara, che dista a qualche centinaio di metri da qui, avvertì l’assenza di Efrem Regazzi dalla sala parto, dove nacque da lì a poco il suo primogenito, il piccolo Fabio, ossia chi vi parla… A quei tempi, il parto era considerato una faccenda prettamente femminile dalla quale l’uomo era escluso: e così fu anche per Efrem e credo ne sia tutt’oggi ancora sollevato.

Erano gli anni per cui il lavoro rimaneva un momento di passaggio nel ciclo di vita della donna-madre. I decenni in cui le donne uscivano dall’amministrazione pubblica, dall’insegnamento, dalla produzione industriale al momento del matrimonio per “responsabilità familiari”. Oppure licenziate alla nascita del primo figlio. Mia madre rientrava nella prima delle categorie quindi evitò quella che oggi consideriamo a tutti gli effetti una violazione della Legge federale sul lavoro.

Ripensando ai miei genitori, l’una considerata dalle statistiche “inattiva” perché casalinga e madre, l’altro invece rubricato come “attivo” perché imprenditore, non posso esimermi dal riconoscere a mia madre almeno la metà dei successi imprenditoriali di mio padre, non tanto perché l’accompagnasse in azienda – ai quei tempi sarebbe stato impensabile – ma perché occupandosi di noi figli, gli ha assicurato tranquillità, serenità nel suo lavoro, e pure dimostrato capacità e competenze imprenditoriali diverse, gestendo per decenni una famiglia di quattro figli tra cui l’incorreggibile giamburrasca che ero.

 

57 anni dopo: rivoluzione industriale 4.0 e il difficile cambio culturale

Interrompo la narrativa famigliare, e per parlare dell’oggi mi affido ancora a dati e cifre, che hanno il pregio di essere incontrovertibili. E cosa leggiamo?

Vediamo che la figura della casalinga degli anni ’60 è stata oggi in gran parte soppiantata dalla donna con un impiego. In tutti i paesi europei la presenza delle lavoratrici è aumentata di molto, ed è simile a quella degli uomini sino a quando raggiungono i 30 anni d’età, dopodiché, complice l’arrivo dei figli, diminuisce e resta sempre inferiore a quella maschile. Questa differenza tende però a ridursi con il passare del tempo. Rispetto al 2000 le donne interrompono meno sovente la propria attività professionale e quando lo fanno ritornano più spesso al lavoro.[5]

Questa situazione – che sulla carta può apparire ideale – in realtà non soddisfa gran parte delle persone interessate. I dati dei sottoccupati in Ticino, ossia di coloro che hanno un lavoro e che vorrebbero lavorare di più, sono raddoppiati negli ultimi 10 anni: erano un lavoratore su dieci nel 2015.[6] Tra loro nei due terzi dei casi troviamo le donne.

Se a questa fotografia affianchiamo quella della differenza salariale tra generi (dato mediano per l’intera economia nazionale) vediamo che tra uomo e donna in Svizzera sussiste ancora un divario di ca. 800 franchi mensili.[7]

È un dato che ci interpella direttamente come imprenditori perché spesso viene letto come la risultanza di una discriminazione di genere. Sappiamo però che questa differenza è perlopiù frutto di una diversità nelle caratteristiche professionali tra i due sessi, determinate appunto dal fatto che una donna, come ricordato prima, cessa o riduce la sua esperienza lavorativa alla nascita del primo figlio, si forma generalmente in ambiti come quelli dell’educazione e della cura che registrano medie retributive inferiori alle professioni tecniche, e/o più difficilmente accede a posizioni dirigenziali.

Tutti fattori che sottolineano l’importanza di sostenere un cambiamento culturale già in parte in corso, per il quale noi esponenti del mondo industriale cantonale possiamo ancora contribuire fortemente per aprire anche i settori più refrattari ai talenti femminili, tema appunto della discussione che seguirà.

 

Cosa fanno le imprese che fanno impresa?

È infatti dimostrato come le aziende con buone pratiche in materia di diversità di genere godono anche di migliori indici di sostenibilità finanziaria. La letteratura ci dice infatti che l’equilibrio all’interno del capitale umano passa attraverso la composizione di gruppi misti. Lo dimostra anche una ricerca dello scorso anno del Fondo monetairio internazionale[8] che evidenzia come la diversità apporta valore di per sé, e che le donne sono portatrici di competenze e attitudini complementari a quelle maschili. È però la combinazione di esse – quelle femminili con quelle maschili – a produrre maggiore efficienza, produttività e innovazione.

Anche in Ticino si conferma l’emergere di nuovi modelli di business, in grado di superare le contraddizioni del modello socio-economico precedente, a partire da una riconciliazione tra obiettivi economici e benessere sociale.

Una caratteristica comune di queste aziende capitanate dalle “minoranze creative” di cui dicevo in entrata, è la loro determinazione nel rispondere a quanto sempre più la società chiede: la promozione di un maggiore equilibrio tra vita e lavoro che queste aziende perseguono sotto il cappello del welfare aziendale.[9]

 

A tale proposito la rivoluzione tecnologica ci viene in aiuto: il lavoro 4.0 impone una preparazione sempre più ampia nelle cosiddette materie STEM (science, technology, engineering and mathematics), fattore critico per le donne che sono, al momento, sottorappresentate in queste discipline. Al tempo stesso prevede criteri di flessibilità, ad esempio di orari e spazi, che invece vanno incontro alle necessità delle lavoratrici, e un’attitudine al lavoro di squadra che spesso caratterizza le competenze femminili.

Questo per dire anche che, informando di più e meglio le ragazze sulle opportunità professionali e di carriera offerte dal ramo industriale sin dalla formazione, è possibile spezzare gli stereotipi riguardo una preclusione del nostro settore industriale nei confronti delle lavoratrici femminili.

 

AITI e la sensibilizzazione verso la diversità

Da quest’anno AITI è partner istituzionale, assieme ad altri tre attori, la Camera di commercio del Cantone Ticino, Equi-lab e Pro Familia della Svizzera italiana, con il compito di sensibilizzare il mondo industriale al grande tema della gestione equilibrata della vita privata e professionale. Si tratta di un capitolo delle misure sociali approvate lo scorso anno accanto al pacchetto fiscale, che comprende l’implementazione di misure a sostegno di un maggiore equilibrio famiglia-lavoro. Restiamo convinti che questo modello di nuovo partenariato territoriale sia la chiave di volta per valorizzare il talento femminile a tutti livelli aziendali.

Per concludere un ultimo pensiero lo rivolgo alla casalinga e all’imprenditore degli anni ’60: carpire alcune trame del passato che li hanno visti protagonisti, mi ha aiutato a comprendere come noi imprenditori possiamo essere i protagonisti di un importante cambiamento culturale. La partecipazione femminile al mercato del lavoro, dipende quindi anche dal nostro contributo, nonché dal nostro gusto di “costruire”.  E per compiere questa grande impresa non possiamo privarci della creatività, del modo di essere, delle visioni e delle peculiarità che animano l’altra metà del cielo. Ma anche di ognuno noi, che costantemente, tra gli inevitabili alti e bassi, cerca di dare un senso e una direzione al proprio lavoro, coltivando per sé e per gli altri un futuro migliore. La sfida che ci accompagna quotidianamente nella nostra attività di imprenditore o di collaboratrice e collaboratore è cercare di promuovere ciò che unisce e non ciò che divide, ciò che produce un valore comune e non il perseguimento autoreferenziale di singoli obiettivi. È la continua ricerca di quel pezzo di bene comune, enorme e delicato nel contempo, che è possibile raggiungere solo quando la partecipazione femminile e maschile nel lavoro sono ben armonizzate e diventano collaborazione fattiva, intelligenza collettiva nel produrre quell’energia tipica dei contesti in cui elementi eterogenei ma complementari si incontrano sapientemente.

Con queste parole conclusive, vi ringrazio dell’attenzione e auguro buona Assemblea!

 

Fabio Regazzi, Presidente AITI, consigliere nazionale

 

[1] https://www.janrotmans.nl/en/

[2] Lucia Bordoni, La donna operaia all’inizio del Novecento, Dadò Editore, 1993.

[3] Ibid., p. 25.

[4] A partire da quel momento le lavoratrici risaliranno lentamente e con difficoltà la china dell’occupazione. Nel 1970 il tasso di attività femminile era ancora pari al 34%. Dati elaborati e forniti dall’Ufficio di statistica Ustat, Bellinzona.

[5] https://www3.ti.ch/DFE/DR/USTAT/allegati/volume/le_cifre_della_parità_2018.pdf (p. 14)

[6] https://www3.ti.ch/DFE/DR/USTAT/allegati/articolo/2285dss_2016-2_4.pdf

[7] Dato mediano per l’intera economia = 6830 fr. per gli uomini, a fronte di 6011fr. per le donne https://www3.ti.ch/DFE/DR/USTAT/allegati/volume/le_cifre_della_parità_2018.pdf

[8] IMF Staff Discussion Note, “Economic Gains from Gender Inclusion: New Mechanisms, New Evidence”, Ostry, Alvarez, Espinoza, Papageorgiou, ottobre 2018

[9]  Una ricerca condotta in Svizzera nel 2016 ha rilevato che la percentuale dei giovani dipendenti che mettono al primo posto l’importanza della conciliabilità tra lavoro e famiglia nella loro carriera professionale si situa al 61%.

https://www.handelszeitung.ch/blogs/kompass/so-anspruchsvoll-sind-schweizer-berufseinsteiger-1207270#

 

Il decorso storico dello sviluppo industriale in Ticino e le sue prospettive

Intervento del Presidente dell’Associazione Industrie ticinesi all’Assemblea generale ordinaria dei delegati della CATEF

Carissimo Presidente,

carissima Segretaria,

cari ospiti,

sono molto lieto di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare la stima e la fruttuosa collaborazione che unisce l’Associazione industrie ticinesi che presiedo con la CATEF, importante attore del mondo immobiliare cantonale, ma anche ribadire la profonda amicizia che mi lega da decenni al vostro Presidente Gianluigi Piazzini, di cui invidio da sempre il linguaggio vivace e le metafore colorite.

La lettura dei suoi editoriali sulla rivista di Economia Fondiaria sono per me un must, un appuntamento irrinunciabile per rinfrescarmi il delizioso repertorio da lui snocciolato, un ilare antidoto contro le ultime castronerie dei soliti ambientalisti per definizione del tutto privi di buon senso.

In veste di consigliere nazionale, non è certo necessaria una puntualizzazione per riconoscere la mia vicinanza al settore immobiliare, colonna portante della nostra economia, e quindi alla vostra associazione.

Dal mio osservatorio bernese, numerosi sono i temi che ci accomunano, per i quali ho sempre trovato nel vostro Presidente, disponibilità, condivisione e appoggio. Non da ultimo di Gigio ho sempre apprezzato lo spirito di sintesi che coglie all’istante il problema. Una battaglia tra le tante è la campagna del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole.  Ma anche contro l’iniziativa sulle residenze secondarie del 2012 il nostro sodalizio ha avuto poca fortuna. Ci tengo comunque a ribadire che se abbiamo avuto poco seguito su questi temi, altri, come la riforma fiscale, ha registrato maggiori successi.

Il tema della relazione odierna è di quelli che potrebbe farvi piombare in profonda catalessi. Il pericolo invero è reale dal momento che ci situiamo alla fine di una lunga e pesante settimana lavorativa e stando all’ordine del giorno costituisco il vostro ultimo sbarramento all’agognato aperitivo…

Cercerò quindi di affrontare il tema dello sviluppo industriale di questo Cantone partendo dalle ragioni che ne hanno determinato un decollo relativamente tardo, soprattutto se paragonato alla Svizzera.

Ritrovaremo tra queste cause sostanzialmente le stesse che continuano a penalizzarci oggi, e sono:

  1. l’esiguo mercato interno
  2. gli ostacoli creati dalla difficoltà dei trasporti
  3. e dal confine politico con I’ltalia.

Se si osserva quello che era il panorama economico industriale (artigianale) dell’Ottocento ticinese, soprattutto negli anni dell’isolamento precedenti alla realizzazione del traforo deI San Gottardo (1882), non ci si può stupire del fatto che il Ticino assistette pressoché da spettatore agli avvenimenti economici originati dalla rivoluzione industriaIe del 1800.

L’assenza quindi di stimoli reali in grado di originare, ad esempio, la meccanizzazione delle imprese artigianali, fece in modo che il Ticino risultasse assente nel fenomeno di espansione economica che, sostenuto dall’esportazione, fece le sue prime apparizioni in altre regioni svizzere già nel corso della prima meta del XIX secolo.

Dal profilo dell’insediamento attorno alla metà dell’Ottocento si potevano osservare soltanto sporadici e discontinui sintomi di sviluppo, circoscritti a limitati settori quali, ad esempio, quelli del tabacco e della filatura situati soprattutto nel basso Mendrisiotto. Il Ticino economico dell’Ottocento presentava anche qualche mulino, alcuni pastifici, concerie e minuscole officine meccaniche. Tutto qui. Più al nord, una crescita significante caratterizzò invece, e per lungo tempo, l’attività dell’industria del granito.

Per tutto l’Ottocento le attività economiche cantonali vissero periodi di stagnazione tale da non riuscire nemmeno a dare sostentamento a tutta la popolazione. Ne è la prova la lunga tradizione d’emigrazione che dovette affrontare il nostro Cantone, ben descritta in alcune opere letterarie del Novecento ticinese. Erano i tempi in cui su 10 svizzeri costretti ad emigrare nel corso dell’Ottocento, uno era ticinese; un dato significativo se si tiene conto del fatto che la popolazione ticinese di allora, se rapportata a quella nazionale, corrispondeva a circa il 4%.

1882-1914: la svolta

La svolta, anche se attutita dall’enorme ritardo accumulato nei confronti del resto del Paese, si verificò con la realizzazione del traforo del San Gottardo del 1882. Ancora una volta, mi verrebbe da dire, i Confederati, soprattutto svizzeri-tedeschi, ci vennero in soccorso. E non sarà l’ultima… L’allacciamento diretto, regolare e continuo con il Nord, permise la creazione di nuove a

ttività industriali che, affiancate alle esistenti, trovarono una loro ragione d’essere.

Si trattò, per larga parte, di fenomeni insediativi finanziati da capitali svizzero-tedeschi, favoriti dalla numerosa manodopera e dalle abbondanti fonti energetiche (l’acqua!) presenti in Ticino.

Il cambiamento provocato dal potenziamento delle trasversali alpine, impresse notevole sviluppo all’industria estrattiva della pietra e a quelle delle costruzioni ma, quel che più conta, fece propagare in Ticino nuove speranze per un recupero graduale delle potenzialità economiche.

Eccezionale fu lo sviluppo dei rami abbigliamento, metallurgia e alimentare.

Per limitarmi all’industria, nel 1903 nasce la fabbrica di cioccolato Cima Norma a Dangio-Torre in Valle di Blenio. Nel 1908 prendono vita le Officine del Gottardo a Bodio che nel giro di dieci anni, dal 1906 al 1916, sono protagoniste del quadruplicamento del numero degli stranieri domiciliati nel piccolo Comune della Bassa Leventina. Qualche anno prima nel 1905 a Giubiasco nasce anche la Linoleum SA. Correva l’anno 1900 quando Fritz Wullschleger, avviò il suo commercio di materiali edili, cui aggiunse svariati materiali usati nella costruzione, fatto che permise un rapido sviluppo dell’attività aziendale. Tra le aziende metallurgiche si segnala la Tenconi SA di Airolo, nata in concomitanza proprio con la realizzazione del tunnel ferroviario del San Gottardo ma anche le Ferriere Cattaneo di Giubiasco.

A dare lo sperato scossone a quelle che sono oggi le basi della moderna struttura economica ticinese furono il primo e ancora di più il secondo dopoguerra del Novecento, tanto che da 148 fabbriche del 1901 si passò a 714 del 1964. Salvo leggeri regressi constatati dopo lo scoppio della prima e della seconda guerra mondiale, anche l’aumento della manodopera risultò sempre costante. Nel 1900 nel settore industriale ticinese si contavano 9’700 operai, nel 1964 si arrivò a 20’900.

Nel periodo che corre dal 1950 al1963 furano quattro i distretti che registrarono un aumento importante del numero di fabbriche: Lugano ebbe un incremento del 72%, Mendrisio del 48%, Bellinzona del 38%, Locarno del 30%. La maggior parte delle fabbriche, i due terzi del totale, era localizzata nei due distretti del Sottoceneri, mentre il 71% dei Comuni del distretto di Mendrisio contava almeno una fabbrica.

 

1960-1980: esplosione degli impieghi

Dal secondo dopo guerra importante fu l’inversione di tendenza prodotta dal mercato del lavoro ticinese. Mentre durante tutto l’Ottocento ed i primi 40 anni del secolo scorso gran parte dei lavoratori era stata costretta ad emigrare, dopo la seconda guerra mondiale il Ticino diventa una meta ambita, non solo per i lavoratori stranieri, che cercano le loro occasioni di lavoro, ma anche per i residenti. L’espansione di un elevatissimo numero di piccole aziende, fra le quali mi piace annoverare anche la Regazzi, è stata favorita, in gran parte, dalla sicurezza di poter disporre sempre di sufficiente manodopera estera (in maggior parte frontalieri-pendolari).

Se questo, da un lato, ha stimolato la crescita industriale sotto il profilo quantitativo, d’altro canto ha però contribuito, almeno all’inizio, a frenare il processo di razionalizzazione e meccanizzazione delle nostre fabbriche.

 

1980-Oggi: riconversione industriale

La riconversione industriale, attuata in gran parte negli anni ’70 e ’80, ha provveduto comunque a riequilibrare parte degli antichi scompensi. Quella che stiamo vivendo oggi, sta correggendone altri: tra questi mi pare fondamentale poter riequilibrare anche la partecipazione delle donne sul mercato del lavoro, oggi comunque inferiore di quella maschile e con aspirazioni a poter crescere, tema che fra l’altro sarà al centro dell’assemblea AITI di lunedì prossimo.

A tale proposito la rivoluzione tecnologica ci viene in aiuto: se da un lato il lavoro 4.0 impone una preparazione sempre più ampia nelle cosiddette materie STEM (science, technology, engineering and mathematics), fattore critico per le donne che sono, al momento, sottorappresentate in queste discipline. Al tempo stesso prevede criteri di flessibilità, ad esempio di orari e spazi, che invece vanno incontro alle necessità delle lavoratrici, e un’attitudine al lavoro di squadra che spesso caratterizza le competenze femminili.

Questo per dire che il cambiamento in atto amplierà – o quanto meno lo spero – le opportunità professionali e di carriera offerte dal ramo industriale anche all’altra metà del cielo, spezzando antichi stereotipi riguardo una preclusione del nostro settore industriale nei confronti delle lavoratrici femminili.

Siamo un Cantone che fà da ponte tra due delle aree economiche più robuste e dinamiche d’Europa: la Lombardia a sud (con il polo di Milano) e la regione di Zurigo a Nord. Il Ticino, istituzionalmente ben integrato nella Confederazione elvetica, appartiene alla cultura italiana ed è rivolto economicamente sia a nord che a sud.

Negli ultimi anni le oltre 200 industrie dell’AITI esportano più dell’80%, impiegano 19’000 collaboratori, registrano 19 miliardi di fatturato e formano 300 apprendisti ogni anno, concorrendo a generare il 20% del PIL cantonale. Tra i settori che esportano di più figura la metalmeccanica, il tessile e l’abbigliamento, la chimica e la farmaceutica, le materie plastiche e quello delle macchine e dell’elettronica.

Con queste cifre e presupposti credo che il settore industriale cantonale ha tutte le carte in regola per guardare al futuro con ottimismo. Bisogna essere onesti e ammettere che le nostre condizioni quadro sono migliori di Paesi a noi vicini, anche se sicuramente in molti ambiti si dovrebbe fare di più (penso a quello fiscale ma non solo).

Ciò detto è la politica a non voler fare la sua parte. A volte, si adottano misure poco efficaci solo per mostrare ai cittadini che si sta facendo qualcosa, che spesso si rivelano contrarie al diritto superiore generando anche un dannoso aumento della burocrazia (emblematica in tal senso la famosa tassa di collegamento che abbiamo combattuto). Avverto, in generale, poca ragionevolezza; stiamo perdendo la capacità delle passate generazioni di affrontare i temi con misura e un sano buon senso. La capacità di trovare soluzioni concrete dopo discussioni e concessioni reciproche è un elemento di forza della nostra politica. Ecco perché sarebbe auspicabile che in Parlamento sedessero più imprenditori poiché portano un contributo fondamentale alle decisioni politiche.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Post scriptum: per vostra informazione mi ricandido alle prossime elezioni federali del prossimo autunno, nel caso voleste veder riconfermata la presenza di un imprenditore in Parlamento…

 

Fabio Regazzi

Presidente AITI, consigliere nazionale

 

Venerdì 24 maggio 2019

Bellinzona, Auditorium Banca Stato