Legge CO2: qualcuno si è chiesto quanto costeranno queste misure e chi pagherà?

Dopo che in prima battuta, grazie al solito gioco dei veti incrociati, PS e Verdi da un lato e UDC dall’altro avevano affossato al Consiglio nazionale la revisione della legge sul CO2, la stessa è approdata al Consiglio degli Stati che nel corso della recente sessione ha elaborato una versione decisamente più incisiva rispetto a quella proposta dal Consiglio federale. Non nascondo che il progetto di legge che ne è scaturito mi lascia perplesso, anche se è stato probabilmente condizionato dal clima di campagna elettorale che deve avere contagiato parecchi senatori, soprattutto dell’area borghese. Prima di vedere più in dettaglio le singole misure proposte, vale la pena fare qualche premessa sul tema del CO2. La questione appare decisamente complessa e controversa. Personalmente ritengo che atteggiamenti estremi come la negazione dei cambiamenti climatici e l’isteria che è nata attorno ai medesimi siano fuori luogo. Io credo che, con un minimo di onestà intellettuale, dobbiamo riconoscere che un cambiamento a livello del clima non possa essere negato e lo stesso sia in buona parte imputabile alle attività umane. Le preoccupazioni della popolazione, e non solo dei giovani, sono quindi legittime e la situazione ci impone di affrontare seriamente questo tema cruciale. La prima considerazione da fare è che siamo di fronte a un problema globale, che richiede quindi risposte globali. Basti infatti pensare che le emissioni di CO2 emesse dalla Svizzera, rappresentano lo 0,1% (cioè 1/1000) di quelle di tutti i Paesi del mondo (mentre la Cina da sola incide per il 25%!). Detto in altri termini, anche nell’ipotesi in cui da domani riuscissimo ad azzerare le emissioni di CO2, l’impatto complessivo sarebbe praticamente nullo e quindi impercettibile. Questo dato di fatto non deve tuttavia diventare un pretesto per non fare nulla, anzi! Giusto dunque che anche la Svizzera dia il proprio contributo e sia anche da esempio per gli altri, ma senza la pretesa di voler salvare da sola il pianeta, come invece molti vorrebbero far credere. Fatto sta che al di là dei grandi proclami, alla fine con queste misure fatte di un mix di divieti e restrizioni da un lato e da tasse e balzelli dall’altro ad essere chiamati alla cassa saranno soprattutto il ceto-medio (e in particolare chi vive nelle zone periferiche come il Ticino) e ovviamente anche le aziende. Ma vediamo allora di capire concretamente di cosa stiamo parlando, prendendo solo tre dei provvedimenti decisi dagli Stati. Innanzitutto l’aumento del prezzo della benzina di 12 cts. al litro a partire dal 2025 comporterà un incremento di costi annuo di ca. 200-250 fr./anno (per un auto che percorre 20-25’000 km/anno); l’aumento pure previsto con la tassa sulla nafta da riscaldamento verrebbe a costare 54 cts al litro più di oggi, che per un appartamento di 100 mq equivale a maggior costi di riscaldamento di oltre 1’000 fr./anno; non da ultimo la prospettata tassa sui biglietti aerei da 30 a 120 fr. per una famiglia di 4 persone che ad esempio vola a Londra, comporterebbe un supplemento di spesa compreso fra 200 e 400 fr. E questi nuovi oneri sono solo una parte di quelli che ricadrebbero sulla popolazione, senza contare che a seguire ne arriveranno altri. Personalmente sono convinto che sia giusto pretendere che la Svizzera faccia la sua parte e che cittadini e aziende debbano assumersi degli oneri ma a due precise condizioni: la prima è che vi sia una strategia condivisa almeno a livello europeo, mentre la seconda è che tali oneri siano ragionevoli e sostenibili per l’economia, in particolare per l’industria d’esportazione già in difficolta per il franco forte e soprattutto per il ceto medio, che risulta la categoria in assoluto più tartassata. Per affrontare questa sfida epocale ci vuole sì coraggio, ma anche un sano realismo, buon senso e ragionevolezza se vogliamo evitare che questo difficile esercizio si trasformi in un boomerang come successo in Francia con i gilet jaunes.

Fabio Regazzi, Consigliere nazionale PPD e Presidente AITI

 

In: La Regione, 8 ottobre 2019

È ancora possibile essere gentili in un’epoca segnata dal populismo e dal sovranismo?

Intervento in occasione dell’Assemblea generale del Movimento mondiale della gentilezza  

Lugano, 4 ottobre 2019

 

Gentili signore e signori,

Preparando questo intervento mi sono chiesto se sono una persona gentile. Mi sono venuti in mente diversi aggettivi. Simpatico e socievole sì, ma gentile… Gentile non è il primo aggettivo che associo alla mia persona.

Assalito dal dubbio, e iniziando a temere che non fossi la persona giusta per portarvi questo saluto, ho chiesto un parere a chi mi conosce bene e ha l’inaudita fortuna di lavorare per me da anni. La sentenza è stata: “sei una persona dal carattere ruspante, spesso spigoloso, soprattutto esigente e complicato. Gentile quasi mai, salvo quando hai bisogno di un favore…”. Mi rispose con sarcasmo.

Dopo questa scoperta, avrei potuto chiudere qui il mio intervento, ringraziandovi per l’invito e per avermi dato la possibilità di scoprire il vostro movimento, il decalogo dei Piaceri della Gentilezza di GentleTUDE, che mi sono riletto ancora stamani, non dopo avervi confermato che penserò a voi e alla vostra missione di gentilezza il prossimo 13 novembre (Giornata mondiale della gentilezza). Augurandovi da ultimo di trascorrere ancora dei piacevoli momenti a Lugano.

Tuttavia, prima di andarmene avrei una domanda da porre a voi, esperte ed esperti di gentilezza: è possibile in tempi di sovranismo e di populismo essere gentili in politica?

Per chi non mi conosce, preciso che è dal lontano 1984 che mi occupo di politica. Ho iniziato dal livello comunale, sino a ricoprire dal 2011 la carica di Consigliere nazionale nel Parlamento svizzero. Dall’alto dei miei 35 anni di esperienza politica posso affermare che da oltre un ventennio circa, nelle istituzioni di questo Cantone, si assiste ad un inasprimento del dibattito politico.

Tante le ragioni, per le quali non voglio tediarvi, ma tra queste la principale cause della violenza, finora verbale, che caratterizza il dibattito pubblico è probabilmente la definitiva negazione del valore della complessità e della diversità quale elemento di spiegazione e giudizio di ciò che ci circonda.

Di fronte al dilagare di idee deboli e superficiali corrisponde, gioco forza, un linguaggio aggressivo, a tratti brutale, caratterizzato dalla negazione dell’altro e dell’altrui pensiero.

Chi invece avanza spiegazioni complesse, suffragate magari anche da dati, viene sbeffeggiato, sospettato di fare i giochi sporchi di non so quale gruppo d’interessi.

Sono anche un imprenditore a capo di una piccola-media realtà industriale che impiega 130 persone. Ogniqualvolta in un dibattito politico devo esporre le difficoltà dell’operare in un mercato economico ristretto, messo sotto pressione dalla concorrenza estera, la reazione che suscito nella controparte non è quasi mai una sana competizione di idee, bensì una strategia volta alla mia delegittimazione quale imprenditore responsabile, per venire quasi sempre accusato di sfruttamento di manodopera.

Ricordo poi che se all’inizio della mia carriera politico, mi presentavo ai dibattiti televisivi con tabelle e dati statistici, oggi arrivo oramai a mani vuote. Scomparsi i fatti, i dati, le proposte concrete legate a una visione del mondo e della realtà, rimangono solo i botta e risposta, le battute, le accuse, le semplificazioni e, sempre più spesso, il turpiloquio. Ogni argomentazione che provi ad addentrarsi in un tema riconoscendone le sfumature diviene “politichese”.

Vi è poi l’aggravante legata ai social. Il dibattito che sconfina nei media e soprattutto sui social vive di istantaneità, superficialità, anonimato, mancata assunzione di responsabilità di quello che si dice e del come. Ma vi è molto di più: l’apparente vicinanza creata dai social, ha azzerato le distanze tra istituzioni e popolo, tra i corpi intermedi e la maggior parte della cittadinanza riversando sui primi e senza filtro, insofferenza, rabbia, frustrazione.

Proprio nel mentre la modernità ci pone davanti a sfide gravi, dalla demografica, ai flussi migratori, senza ovviamente dimenticare l’ambiente, mi pare che l’aver perso i modi gentili per una comprensione più profonda di ciò che ci circonda costituisce un ostacolo importante al dialogo e al confronto di idee.

In fondo, se ho colto bene il fondamento della vostra missione, l’essere gentili con l’altro significa riconoscerlo come pari, al di là della diversità delle sue idee e del suo credo, per poi rispettarlo nella complessità delle sue convinzioni senza delegittimarlo. Per chi come me crede nella democrazia quale valore e non forma retorica, sarebbe quindi auspicabile che in questo cantone vi fosse una riscoperta e una difesa della complessità della realtà che ci circonda assieme a una parola, la gentilezza, merce sempre più rara nel linguaggio pubblico e dell’agire comune.

Da lì la mia domanda iniziale: come può un politico gentile sopravvivere in tempi di sovranismo e di populismo?

Ascolterò la vostra risposta. Per quel che mi riguarda, ricostruire la capacità di dialogare in politica passa anche dalle piccole grandi cose, e probabilmente passa e passerà anche dalla riscoperta di valori come il garbo e la gentilezza.

Vi ringrazio dell’attenzione.

Fabio Regazzi,

Consigliere nazionale

 

Tutte le strade (per il Ticino) portano alla Berna federale

La politica federale è senza dubbio appassionante. Trovare la quadratura del cerchio su questioni di varia natura assieme ad Appenzellesi, Bernesi, Giuriassiani o Ginevrini è un esercizio complesso ma nel contempo intrigante. Il confronto diventa tanto più acceso quando l’oggetto del contendere riguarda la politica dei trasporti e dunque opere da centinaia di milioni franchi se non miliardi, che generano regionalmente ricadute importanti in termini di impieghi, mobilità e nuove opportunità.

Non sorprende quindi che la politica dei trasporti divida gli animi più di altri temi. Quando si tratta di mobilità, ognuno ha una sua opinione precisa su chi va chiamato alla cassa, chi beneficia, chi ne approfitta. La politica dei trasporti, in uno stato federale, composto da un parlamento con rappresentanti di 26 entità diverse, è tipicamente una competizione tra cantoni e tra regioni per convincere che le infrastrutture realizzate sul proprio territorio sono indispensabili e prioritarie rispetto ad altri progetti (in tedesco si parla di “Verteilungskampf”).

In un mio precedente contributo apparso su questo giornale mi ero occupato di infrastrutture ferroviarie. Ma anche a livello di quelle stradali negli ultimi anni il Ticino è riuscito a portare a casa risultati significativi. Unita, coordinata e con i migliori argomenti, la Deputazione ticinese ha sventato negli scorsi anni la minaccia di una lunga chiusura della Galleria autostradale del San Gottardo e la cementificazione di Airolo e Biasca con infrastrutture provvisorie di un’ampiezza di svariati campi di calcio; lo ha fatto convincendo dapprima il Consiglio federale, poi il Parlamento e in ultima analisi il popolo che una seconda canna avrebbe generato molteplici vantaggi, tra cui un aumento della sicurezza. Nel medesimo contesto si inserisce anche il nuovo centro di controllo dei mezzi pesanti di Bodio, importante per l’economia della Leventina con il suo investimento di 250 milioni di franchi. Oltre a maggior sicurezza sull’asse stradale, il nuovo centro garantirà non pochi impieghi in una regione costretta da sempre a lottare per disporre delle risorse necessarie.

Sul piatto però restano altri filetti che il nostro Cantone non deve lasciarsi sfuggire. Attualmente è in fase di progettazione la terza corsia autostradale tra Lugano e Mendrisio, un tassello fondamentale per risolvere gli ormai quotidiani ingorghi nella zona più popolata del Ticino e che al contempo permette di mettere una pezza anche da un punto di vista dell’impatto visivo che nel anni ‘60 – al momento della costruzione delle prime due corsie – non pare essere propriamente stata una priorità. Nei prossimi anni si gioca anche partita relativa al collegamento A2-A13, progetto irrinunciabile per il Locarnese se vuole restare competitivo in termini di attrattività turistica ed economica e che al contempo prevede una serie di compensi ecologico-ambientali in una regione, quella del Piano di Magadino, particolarmente sensibile.

Le tempistiche della realizzazione di queste opere primordiali per il Ticino dipenderanno dall’abilità degli attori del nostro cantone, dalla capacità di allacciare i contatti più opportuni e creare le alleanze più promettenti, dalla complicità e dalla coordinazione nel creare il consenso e argomentare costruttivamente e con fatti inequivocabili in contesti che vedono altri cantoni rivendicare opere e infrastrutture della medesima natura. Queste importanti decisioni vengono prese a Berna ed è per questo che è fondamentale essere presenti nei gremii che contano per far sentire le voce del Ticino. E uno di questi è la Commissione dei trasporti di cui faccio parte da 8 anni e dove mi piacerebbe poter continuare a lavorare nella prossima legislatura se ne avrò ancora la possibilità. Nella politica dei trasporti si determinano oggi le sorti delle prossime generazioni. La responsabilità è grande, la posta in palio alta e io sono pronto e motivato a continuare a lottare per il nostro Cantone.

Fabio Regazzi, Consigliere nazionale PPD, membro della Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni

 

In: Corriere del Ticino,