Elezione del Consiglio federale da parte del popolo: un’iniziativa contro natura

Il prossimo 9 giugno saremo chiamati alle urne per esprimerci sull’iniziativa denominata “Elezione del Consiglio federale da parte del popolo”.  La prima domanda che sorge è a sapere quale miglioramento potrebbe apportare al funzionamento delle istituzioni politiche elvetiche una tale proposta. Per me la risposta è chiara: nessuno! Anzi, il pericolo è semmai che sregolerebbe i precisi e delicati meccanismi alla base della forza del nostro sistema, della sua stabilità e in definitiva del buon funzionamento del nostro Paese. Il nostro governo è uno dei tasselli più importanti di un sistema politico che affonda le sue radici nel lontano 1848. Fin qui ha sempre dato ottima prova, tanto e vero che ci è invidiato da tutto il mondo.

Se il risultati di un’impresa si leggono nella creazione di valore aggiunto per i propri azionisti, quelli di un Paese si misurano attraverso la sua competitività internazionale.

Sappiamo che il successo della Svizzera è eccezionale (basta gettare uno sguardo a cosa succede attorno a noi per rendersene conto) e non deriva soltanto dalle competenze dei suoi attori economici, ma anche dalle decisioni politiche favorevoli alla creazione e allo sviluppo delle condizioni quadro in cui gli stessi operano, alle quali il Consiglio federale ha contribuito in maniera determinante.

Voler cambiare un modello che funziona con il solo pretesto di rafforzare il ruolo del popolo (che comunque gode già di ampi diritti garantiti dal nostro sistema, unico al mondo, di democrazia semi-diretta) è un tentativo inutile che potrebbe anzi mettere a repentaglio l’invidiabile stabilità di cui gode la Svizzera.

Se però vogliamo parlare di un rafforzamento del potere esecutivo, come vorrebbero lasciare intendere i promotori dell’iniziativa popolare, la soluzione risiede nell’aumento dei suoi membri a 9, come chiesto fra l’altro da un’iniziativa cantonale del Ticino, respinta però di misura dal Parlamento grazie anche all’opposizione – guarda caso – di una buona parte dell’UDC.

La storia della Svizzera insegna che il successo delle riforme è strettamente legato alla loro compatibilità con la nostra tradizione democratica. In questo senso i salti nel buio come proposti dall’iniziativa vanno contro la natura stessa del nostro assetto istituzionale. Ritengo perciò preferibile continuare a lavorare al miglioramento del sistema attuale senza stravolgerne l’impostazione.

Diciamo pertanto NO a questa iniziativa inutile e controproducente.

Da Il Corriere del Ticino, 4 giugno 2013

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