Allocuzione del 1. di Agosto 2015 in occasione del 50mo. di fondazione della Società Tiro al volo Serpiano

Pronunciata da Fabio Regazzi, consigliere nazionale e presidente della FCTI
Serpiano, Poligono di Tiro

– Fa stato il discorso pronunciato –

Egregio signor Presidente della Società Tiro al volo Serpiano, caro Renato Bullani
Rappresentanti delle autorità di Mendrisio,
Cari membri e amici della STV Serpiano,
Care concittadine e cari concittadini,

È per me un onore rivolgermi a voi per la festa del Primo di Agosto, che segna pure l’importante traguardo dei primi 50 anni della Società tiro al volo Serpiano. Un pensiero di ammirazione e riconoscenza vada a tutte le persone, a partire dal primo presidente Luigi Bernasconi, che nel corso degli anni hanno gestito questa importante società con spirito volontaristico e soprattutto all’insegna dell’amicizia. E i risultati sono qui da vedere: un centinaio di soci – fra i quali molti cacciatori, e come Presidente della FCTI non posso che rallegrarmene – che hanno a disposizione per praticare la passione per il tiro a volo una magnifica struttura, la migliore in assoluto presente in Canton Ticino sotto tutti i punti di vista. E io vi dico semplicemente bravi, siete un esempio da imitare per dinamismo e intraprendenza.
L’importanza di una società come la vostra di tiro a volo, che non dimentichiamolo è pure una disciplina olimpica, e più in generale della disciplina del tiro nella costruzione dell’identità nazionale sono state ampiamente dimostrate. La nostra tradizione è ricca di racconti leggendari ispirati a quest’arte sin dalla fondazione della Confederazione. La saga del tiratore Guglielmo Tell, quella di una rivolta dei tre cantoni primitivi e del loro giuramento che ogni anno ricordiamo in occasione del Primo di agosto, come il racconto, chiaramente in tutt’altra epoca del sacrificio di Arnold Winkelried nella battaglia di Sempach (1386), figurano tra i più importanti miti della Svizzera primitiva. La loro importanza è soprattutto legata alla storia delle mentalità; da questo profilo, il loro ruolo è stato centrale nella creazione dei modelli ispiratori, forti e ampiamente diffusi del nostro Stato federale improntato sulle libertà individuali. In tal senso, l’arma è uno dei simboli dell’uomo e anche della donna (!) liberi. E noi Svizzeri ben sappiamo quale sia il valore della libertà e della democrazia nella nostra Patria, un esempio unico di Nazione fondata sulla volontà, di Willensnation come direbbero i nostri amici confederati.

Care amiche e amici della STV,
Care concittadine e cari concittadini,
da quando sono stato eletto in Consiglio nazionale nel 2011 sono spesso chiamato a riflettere sui simboli e sulle tradizioni che caratterizzano il nostro Paese, e non solo in occasione del Primo di Agosto. Nel mio lavoro concreto di politico federale ho sempre un occhio di grande riguardo nei confronti del nostro patrimonio identitario, che invero non si limita alle questioni passate, come quelle evocate, ma anche ad aspetti di estrema attualità.
Nota a voi è certamente tutta la questione della gestione delle armi, siano esse militari, da tiro o da caccia o anche solo da collezione.
I dibattiti politici in materia militare, sovente appassionati, che accompagnano i nuovi acquisti, sia di una semplice arma da fuoco o di un nuovo aereo oppure un apparecchio più sofisticato come un drone, riaprono regolarmente il fronte mai chiuso della contrapposizione tra chi ha una concezione storica, tipicamente elvetica, del rapporto di fiducia tra Stato e cittadino, importante e fondamentale per la nostra democrazia elvetica, e chi invece la vorrebbe rinnegare.
Ancora lo scorso maggio in Consiglio nazionale mi sono battuto per combattere l’ennesima proposta della Consigliera federale Simonetta Sommaruga che consisteva nel registrare a posteriori tutte le armi da fuoco acquistate dai cittadini svizzeri prima del 2008, anno a partire dal quale ogni acquisto d’arma deve essere autorizzato e registrato dai dipartimenti cantonali di polizia. Ricordo fra l’altro che nel 2011 il Sovrano si era già chiaramente espresso contro un registro generalizzato delle armi.
Come in quell’occasione, anche nel 2015 ha prevalso il buon senso di coloro che hanno tenuto conto di come, in qualunque Paese sia stato implementato, il registro generalizzato delle armi abbia portato a costi enormi senza permettere alcuna riduzione dei crimini a mano armata. La modifica di legge è stata quindi rispedita al mittente ma v’è da credere che la CF Sommaruga tornerà alla carica.
A fronte di questi tentativi di impallinare (è proprio il caso di dirlo…) un vecchio e consolidato modello tipicamente elvetico della gestione delle armi da parte di noi cittadini, la medesima sinistrosa area ideologica che si richiama a non si sa bene quale principio progressista, ha con disarmante buonismo revocato nel 2014 il divieto di porto d’armi sul nostro patrio suolo da parte di cittadini croati e montenegrini, “perché le zone d’origine non sono considerate di crisi”. Invero non è proprio così, tant’è che non è raro leggere sui nostri giornali, figuriamoci poi cosa poi accade effettivamente sul posto, notizie riportate di crisi e conflitti da parte di bande armate, che al passaggio lasciano uno strascico di feriti se non di morti. Ho quindi presentato due interpellanze al Consiglio federale nel 2014 e nel giugno 2015 per chiedere se non sia opportuno reintrodurre il divieto del porto d’armi per i cittadini provenienti da questi Paesi. La prima risposta è stata ovviamente negativa, la seconda non è ancora giunta, ma temo già di sapere come andrà a finire …

Più in generale, se da un lato una parte della classe politica agisce con arrendevolezza e tolleranza nei confronti dell’esterno, all’interno è molto attiva nella tendenza che si va purtroppo delineando nel nostro Paese di una crescente criminalizzazione dei cittadini onesti, attraverso, per esempio, le insulse norme liberticide di “Via Sicura”, tramite le quali un automobilista o un motociclista che supera il limite di velocità stradale consentito, senza provocare incidenti e senza aver assunto sostanze alteranti, rischia, oltre ritiro della patente per almeno 2 anni, il carcere, senza parlare dell’esposizione al pubblico ludibrio. Per contro, i criminali veri – molti dei quali approfittano dell’attuale situazione di frontiere aperte – che commettono furti, rapine, aggressioni, spaccio, violenze e minacciano la nostra incolumità subiscono pene inferiori a chi – magari inavvertitamente – ha pigiato troppo sull’acceleratore, senza aver provocato incidenti. Roba da matti, verrebbe da dire. Ma non è proprio così e i matti qui c’entrano poco. Per correggere il tiro a Via Sicura ho pertanto di recente presentato un’iniziativa parlamentare che chiede di rivedere al ribasso le pene minime per i reati del codice della strada, ripristinando uno dei principi cardine del nostro Stato di diritto, ovvero quello della proporzionalità. Ma vi confesso che anche questa proposta ragionevole, dettata più dal buon senso che da qualsiasi disquisizione di diritto penale, ha attirato diverse reazioni violente nei miei riguardi e addirittura auguri funesti di rimanere a mia volta falciato da un veicolo… Staremo a vedere cosa succederà e incrociamo le dita per me…

Due parole riguardo alla solita polemica estiva con il nostro quasi dirimpettaio italiano che ha negli scorsi giorni convocato il nostro ambasciatore alla Farnesina, dopo essersi già rivolto alle autorità dell’Unione europea. Ma qual è la causa dell’inedita frenesia diplomatica a pochi giorni dal tradizionale Ferragosto italiano? Le “novità” introdotte in Ticino in materia di permessi non sono piaciute a Roma che le ha definite contrarie agli accordi bilaterali. Ma cosa sarà mai questo atto gravemente lesivo nei confronti dell’italico vicino? Quando ho letto la notizia ho subito pensato a una violazione dello spazio aereo da parte di uno dei nostri vecchi FA18 che ha perso la bussola. E invece no: la protesta scaturisce dall’obbligo introdotto di recente dal Dipartimento delle istituzioni per chiunque richieda o rinnovi un permesso B (dimora) o G (frontalieri) a presentare il casellario giudiziale.
Apriti cielo! A me risulta che nei concorsi pubblici di assunzione o quali candidati al Municipio, i ticinesi debbano presentare il casellario giudiziale e a nessuno è venuto in mente di rivolgersi alla Corte internazionale dei diritti dell’uomo per violazione dei diritti fondamentali!
Se penso poi che l’Italia da anni pone indiscriminatamente tutte le aziende svizzere sulle sue black list in palese violazione del diritto europeo, mi vien da sorridere di fronte a tanta tracotanza da parte dei politici italiani per quest’obbligo del certificato del casellario giudiziale. Mi vien però da piangere se ripenso che Roma dorme da mesi se non da anni su altri fronti, come quello del flusso continuo dei migranti, una tragedia umanitaria di portata internazionale, per non parlare della grave crisi economica dalla quale sembra incapace di uscire.
Ad ogni modo con un inconsueto slancio diplomatico l’Italia ha già chiesto al nostro ambasciatore “un sollecito, rinnovato impegno delle autorità di Berna per porre termine a una situazione che suscita profonda insoddisfazione in Italia”. Con tono invero poco diplomatico, la tentazione sarebbe di rispondere: ma andate a quel Paese…! Mi auguro, ma temo di essere smentito, che almeno in questa occasione le autorità federali svizzere non calino le braghe come ha inopinatamente fatto il nostro ambasciatore a Roma e tengano per una volta conto della situazione ticinese, che ospita e dà lavoro quotidianamente a 60’000 frontalieri, dei quali da quando è stata introdotta la richiesta del casellario nessuno ha per altro mai interposto ricorso. Del resto, come è stato fatto osservare, l’Italia dovrebbe comunque porsi la domanda sul perché ogni giorno, nonostante tutto, 60’000 lavoratori frontalieri vengono a lavorare in Ticino e, annualmente, migliaia di italiani scelgono il Ticino come dimora.
Molti si interrogano per capire cosa ci riserva il futuro e in particolare se la Svizzera e anche il piccolo Ticino avranno la forza di continuare a fronteggiare le avversità, garantendo un elevato grado di sviluppo e benessere alla propria popolazione.
La risposta è oggettivamente difficile e nessuno può sapere con certezza se saremo capaci di superare le numerose e difficili sfide che ci attendono, perpetuando così il nostro modello di successo.
Sono tuttavia convinto che, oggi come allora, i valori fondanti del Patto del 1291 rimangono di grande attualità e che gli stessi dovranno continuare ad ispirare la nostra azione politica.
Siamo una nazione che sta indubbiamente meglio di altri Paesi grazie alla sua democrazia diretta (un unicum) e alla sua organizzazione su base federalista, strettamente legata all’applicazione pratica del principio di sussidiarietà, che lascia alle comunità locali e più in generale alla società civile importanti responsabilità, valorizzandone nel contempo la creatività e lo spirito imprenditoriale. Una situazione di benessere che contribuisce ad accrescere dei sentimenti di malcelata gelosia, se non addirittura di astio, sfociata in attacchi da parte di Stati, spesso poco virtuosi, al nostro modello democratico.

Ricordiamoci che sono la capacità di adattamento, di propensione al rischio, anche andando contro corrente (penso al caso citato poc’anzi, o come al fatto che non abbiamo aderito all’Europa!) che hanno reso forte il nostro Paese.
Sarà quindi compito della Confederazione e anche di noi parlamentari federali di indurre Berna ad agire in difesa degli interessi cantonali di fronte all’Unione Europea e di salvaguardare le prerogative dei Cantoni laddove l’Europa può – ed è ancora capitato di recente – mettere in discussione la sovranità e le competenze della Confederazione e dei cantoni stessi.
Solo così potremo festeggiare fieramente e con riconoscenza anche i prossimi anniversari della Patria.
Fiducioso in questa grande forza interna del nostro Popolo, di tutti voi, auguro una gioiosa Festa Nazionale e viva la STV Serpiano, viva il Ticino e viva la Svizzera!

Fabio Regazzi
Consigliere nazionale e presidente FCTI

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