Intervento in Consiglio nazionale sull’Iniziativa popolare per un’economia verde
Signor Presidente
Signora Consigliera federale
Care colleghe, cari colleghi
Cosa accomuna l’Environmental Performance Index 2013 della Yale e della Columbia University, il Word Energy Council Sustainability Index 2013, il Sustainbale Competitiveness Report del WEF 2013/2014 o il Decoupling Report dell’UNEP 2011?
Tutti questi indicatori issano la Svizzera al primo posto in classifica per quel che riguarda la protezione dell’ambiente, l’utilizzo parsimonioso delle risorse o la conciliazione tra crescita economica ed efficienza delle risorse.
Possiamo dunque sederci sui nostri allori (e che allori!) e lasciare agli altri gli sforzi in materia di protezione dell’ambiente e delle risorse?
Guai! Figurare ai vertici delle principali classifiche sulla sostenibilità ambientale non è solo un onore, ma una missione per un’economia e una società avanzata come la nostra. O perlomeno è un dovere – e diciamocelo, anche una grande opportunità – investire nelle cosiddette cleantech, le energie pulite, che alle nostre latitudini sono all’origine di un numero di brevetti depositati per persona…, ormai lo intuirete, tra i più alti al mondo.
È dunque più che lecito chiedersi dove trovi posto nel panorama politico l’iniziativa popolare “Economia verde”, oggetto dell’odierna discussione, che chiede che la Svizzera riduca la sua impronta ecologica (…) entro il 2050 ad 1, o in altre parole riduca il consumo di risorse di quasi due terzi (-65%). Non ci vuole un luminare per capire che questo obiettivo è assurdo e irrealistico. Basti pensare che oggi solo economie sottosviluppate, che vivono di una produzione appena sufficiente per il paese stesso, come il Togo o le Filippine, raggiungono l’impronta ecologica auspicata dall’iniziativa. Per raggiungere l’obbiettivo, va da sé, l’iniziativa esige misure straordinarie, mai discusse o applicate in altre nazioni del mondo. Si parla infatti di divieti di produzione e consumo, nuovi ostacoli commerciali e limitazioni della concorrenza che danneggerebbero l’economia cancellando migliaia di posti di lavoro. La proposta è folle sotto diversi punti di vista, ma soprattutto quello delle conseguenze che potrebbe avere per l’economia svizzera in generale, e per le aziende in particolare, soprattutto le piccole e medie, quelle che tutti a parole dicono di voler difendere.
Del resto il controprogetto indiretto del Consiglio federale che doveva essere più “moderato” ha suscitato malumori e parecchie critiche negli ambienti economici per diversi motivi, che riassumo brevemente perché sono a maggior ragione validi per l’iniziativa oggi in discussione, che come detto è ancor più radicale:
- gli oneri per l’economia e le aziende aumenteranno a causa di nuove prescrizioni sulle informazioni sui prodotti, degli obblighi di garantire la rintracciabilità e il riutilizzo dei materiali, e altre disposizioni ancora.
- La libertà decisionale di imprese e consumatori sarebbero state limitate, i costi amministrativi, soprattutto per le PMI, drasticamente aumentati, e – dulcis in fundo – la burocrazia avrebbe continuato la sua inarrestabile avanzata.
La nota positiva: il Consiglio nazionale ha respinto, seppur di misura, il controprogetto.
La nota negativa: le preoccupazioni in relazione a questa iperattività di regolamentare rimangono e questa iniziativa popolare ed il relativo controprogetto, ne sono solo l’ennesima riprova.
Regolarmente sento in quest’aula preoccupazioni per imprese e impieghi di fronte al franco forte e la situazione economica dalle molte incertezze.
Ma poi, nella pratica, da questi banchi, e anche dallo stesso Consiglio federale, escono iniziative o proposte con conseguenze poco trasparenti e con una certezza sola: per il loro corollario di prescrizioni, oneri e divieti andranno a gravare pesantemente sulle nostre aziende sempre più confrontate con una burocrazia invadente e asfissiante (e ve lo dice uno che nella sua attività di imprenditore lo vive quotidianamente).
La politica energetica elvetica, come quella in altri settori, avrà successo anche in futuro se riuscirà a conciliare la protezione e l’utilizzo delle risorse con le esigenze dell’economia. È da quest’ultima che giunge il progresso tecnologico che negli ultimi anni ha permesso passi da gigante di cui approfitta non solo la Svizzera ma tutti i paesi industrializzati. Ed è in questo modo che la Svizzera sta contribuendo più di molti altri alla protezione del clima.
Il resto appartiene ad una politica ideologica e dogmatica che mi auguro questo Parlamento sappia confinare al rango di esercizio di dialettica, evitando di perdere tempo con proposte utopiche e irrealistiche.
Per tutte queste ragioni voterò contro l’iniziativa popolare per “un’economia verde” e vi invito a fare altrettanto.
Berna, 2 dicembre 2015
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