La “stangata” del nuovo canone televisivo per le piccole e medie imprese

In queste settimane le imprese e aziende svizzere hanno ricevuto la fattura concernente i canoni radiotelevisivi. Per chi ha una piccola attività è una vera e propria “stangata”! Infatti il nuovo canone radiotelevisivo sarà addebitato alle imprese a partire da una cifra d’affari minima di 500’000 franchi, somma corrispondente al fatturato, ossia al volume d’affari, di un piccolo artigiano. In altre parole, per le aziende il canone non viene calcolato in base al reddito o ai ricavi, ma in base alle vendite. Nel concreto un macellaio di paese, un artigiano o il titolare di un piccolo commercio, tutte categorie che solitamente lavorano con margini molto bassi, deve versare un canone in base alla sua cifra d’affari che può andare dai 365 ai 910 franchi.

Una situazione per nulla soddisfacente e che ha giustamente suscitato reazioni indispettite da parte dei piccoli e medi imprenditori toccati da questo ennesimo balzello. La prima obiezione è perché prelevare il canone radio-tv da un’azienda? Sfido chiunque infatti a trovare il vostro macellaio di fiducia davanti alla TV a trastullarsi con l’ultimo programma di varietà mentre affetta le bistecche. Invece, la realtà purtroppo è che macellai, artigiani e aziende pagano due volte: il canone aziendale in base al fatturato che si assomma a quello di 365 franchi per la ricezione a domicilio. Una doppia imposizione iniqua e ingiustificata.

La seconda obiezione riguarda invece il criterio per calcolare questa tassa (che in realtà è un’imposta), ovvero la cifra d’affari. E’ in effetti un parametro molto discutibile, che non tiene minimamente conto dell’andamento economico di un’azienda rispetto ad un’altra. Per non parlare poi della scala che è stata adottata nella relativa ordinanza, che penalizza manifestamente – tanto per cambiare – le PMI. Per far capire quanto sia iniquo questo metodo di imposizione, la Cooperazione Migros, che nel 2017 ha registrato 28,1 miliardi di franchi di fatturato, con una crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente (!), dovrà versare quest’anno 35’590 franchi di canone, di sole 39 volte di più del nostro macellaio che si barcamena con una cifra d’affari di ca. 30’000 volte inferiore e magari con un andamento degli affari in calo. Il principio del pagamento della tassa di ricezione a carico delle aziende era in realtà stato inserito nella legge radio-tv, contro la quale nel 2014 era stato lanciato un referendum promosso dall’USAM e che è passata in votazione popolare per soli 3’649 voti; se già il principio è a mio avviso di per sé discutibile, purtroppo l’applicazione dello stesso nella relativa ordinanza lo è stato ancora di più e venne fatto solo nel 2017, in vista fra l’altro  del voto sull’iniziativa per la No Billag: il giochetto fu quello di proporre la diminuzione da 451 a 365 franchi, ovvero un franco al giorno, per le economie domestiche, andando a compensare i minori introiti con la tassa a carico delle aziende (che notoriamente non votano…), grazie alla quale dovrebbero venir garantiti introiti per ca. 200 mio. di franchi. Un’operazione indubbiamente astuta, ma che penalizza in modo inammissibile le imprese, e in particolare le piccole e le medie. A ragion veduta riconosco, e mi cospargo il capo di cenere, che fu un errore non sostenere il referendum contro la nuova legge radio-tv, ma ora bisogna cercare di porvi rimedio. Una prima opportunità ci viene data dall’iniziativa parlamentare del collega Gregor Rutz (UDC/ZH) che chiede tout court la soppressione del canone per le aziende. La proposta ha il vantaggio di risolvere il problema alla radice ed è stata da me sostenuta con convinzione nel novembre scorso davanti alla Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale, che ha approvato l’iniziativa parlamentare in modo piuttosto chiaro. Ora la palla passa nella commissione gemella degli Stati e vedremo cosa verrà deciso, anche se non ho molti motivi per essere fiducioso. In ogni caso, qualora tale proposta dovesse essere rifiutata presenterò una mozione per correggere questa stortura che ha suscitato grande malumore e giustificare rimostranze in molte piccole e medie aziende.

Pubblicato sul Corriere del Ticino, 16 marzo 2019

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