Il decorso storico dello sviluppo industriale in Ticino e le sue prospettive
Intervento del Presidente dell’Associazione Industrie ticinesi all’Assemblea generale ordinaria dei delegati della CATEF
Carissimo Presidente,
carissima Segretaria,
cari ospiti,
sono molto lieto di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare la stima e la fruttuosa collaborazione che unisce l’Associazione industrie ticinesi che presiedo con la CATEF, importante attore del mondo immobiliare cantonale, ma anche ribadire la profonda amicizia che mi lega da decenni al vostro Presidente Gianluigi Piazzini, di cui invidio da sempre il linguaggio vivace e le metafore colorite.
La lettura dei suoi editoriali sulla rivista di Economia Fondiaria sono per me un must, un appuntamento irrinunciabile per rinfrescarmi il delizioso repertorio da lui snocciolato, un ilare antidoto contro le ultime castronerie dei soliti ambientalisti per definizione del tutto privi di buon senso.
In veste di consigliere nazionale, non è certo necessaria una puntualizzazione per riconoscere la mia vicinanza al settore immobiliare, colonna portante della nostra economia, e quindi alla vostra associazione.
Dal mio osservatorio bernese, numerosi sono i temi che ci accomunano, per i quali ho sempre trovato nel vostro Presidente, disponibilità, condivisione e appoggio. Non da ultimo di Gigio ho sempre apprezzato lo spirito di sintesi che coglie all’istante il problema. Una battaglia tra le tante è la campagna del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole. Ma anche contro l’iniziativa sulle residenze secondarie del 2012 il nostro sodalizio ha avuto poca fortuna. Ci tengo comunque a ribadire che se abbiamo avuto poco seguito su questi temi, altri, come la riforma fiscale, ha registrato maggiori successi.
Il tema della relazione odierna è di quelli che potrebbe farvi piombare in profonda catalessi. Il pericolo invero è reale dal momento che ci situiamo alla fine di una lunga e pesante settimana lavorativa e stando all’ordine del giorno costituisco il vostro ultimo sbarramento all’agognato aperitivo…
Cercerò quindi di affrontare il tema dello sviluppo industriale di questo Cantone partendo dalle ragioni che ne hanno determinato un decollo relativamente tardo, soprattutto se paragonato alla Svizzera.
Ritrovaremo tra queste cause sostanzialmente le stesse che continuano a penalizzarci oggi, e sono:
- l’esiguo mercato interno
- gli ostacoli creati dalla difficoltà dei trasporti
- e dal confine politico con I’ltalia.
Se si osserva quello che era il panorama economico industriale (artigianale) dell’Ottocento ticinese, soprattutto negli anni dell’isolamento precedenti alla realizzazione del traforo deI San Gottardo (1882), non ci si può stupire del fatto che il Ticino assistette pressoché da spettatore agli avvenimenti economici originati dalla rivoluzione industriaIe del 1800.
L’assenza quindi di stimoli reali in grado di originare, ad esempio, la meccanizzazione delle imprese artigianali, fece in modo che il Ticino risultasse assente nel fenomeno di espansione economica che, sostenuto dall’esportazione, fece le sue prime apparizioni in altre regioni svizzere già nel corso della prima meta del XIX secolo.
Dal profilo dell’insediamento attorno alla metà dell’Ottocento si potevano osservare soltanto sporadici e discontinui sintomi di sviluppo, circoscritti a limitati settori quali, ad esempio, quelli del tabacco e della filatura situati soprattutto nel basso Mendrisiotto. Il Ticino economico dell’Ottocento presentava anche qualche mulino, alcuni pastifici, concerie e minuscole officine meccaniche. Tutto qui. Più al nord, una crescita significante caratterizzò invece, e per lungo tempo, l’attività dell’industria del granito.
Per tutto l’Ottocento le attività economiche cantonali vissero periodi di stagnazione tale da non riuscire nemmeno a dare sostentamento a tutta la popolazione. Ne è la prova la lunga tradizione d’emigrazione che dovette affrontare il nostro Cantone, ben descritta in alcune opere letterarie del Novecento ticinese. Erano i tempi in cui su 10 svizzeri costretti ad emigrare nel corso dell’Ottocento, uno era ticinese; un dato significativo se si tiene conto del fatto che la popolazione ticinese di allora, se rapportata a quella nazionale, corrispondeva a circa il 4%.
1882-1914: la svolta
La svolta, anche se attutita dall’enorme ritardo accumulato nei confronti del resto del Paese, si verificò con la realizzazione del traforo del San Gottardo del 1882. Ancora una volta, mi verrebbe da dire, i Confederati, soprattutto svizzeri-tedeschi, ci vennero in soccorso. E non sarà l’ultima… L’allacciamento diretto, regolare e continuo con il Nord, permise la creazione di nuove a
ttività industriali che, affiancate alle esistenti, trovarono una loro ragione d’essere.
Si trattò, per larga parte, di fenomeni insediativi finanziati da capitali svizzero-tedeschi, favoriti dalla numerosa manodopera e dalle abbondanti fonti energetiche (l’acqua!) presenti in Ticino.
Il cambiamento provocato dal potenziamento delle trasversali alpine, impresse notevole sviluppo all’industria estrattiva della pietra e a quelle delle costruzioni ma, quel che più conta, fece propagare in Ticino nuove speranze per un recupero graduale delle potenzialità economiche.
Eccezionale fu lo sviluppo dei rami abbigliamento, metallurgia e alimentare.
Per limitarmi all’industria, nel 1903 nasce la fabbrica di cioccolato Cima Norma a Dangio-Torre in Valle di Blenio. Nel 1908 prendono vita le Officine del Gottardo a Bodio che nel giro di dieci anni, dal 1906 al 1916, sono protagoniste del quadruplicamento del numero degli stranieri domiciliati nel piccolo Comune della Bassa Leventina. Qualche anno prima nel 1905 a Giubiasco nasce anche la Linoleum SA. Correva l’anno 1900 quando Fritz Wullschleger, avviò il suo commercio di materiali edili, cui aggiunse svariati materiali usati nella costruzione, fatto che permise un rapido sviluppo dell’attività aziendale. Tra le aziende metallurgiche si segnala la Tenconi SA di Airolo, nata in concomitanza proprio con la realizzazione del tunnel ferroviario del San Gottardo ma anche le Ferriere Cattaneo di Giubiasco.
A dare lo sperato scossone a quelle che sono oggi le basi della moderna struttura economica ticinese furono il primo e ancora di più il secondo dopoguerra del Novecento, tanto che da 148 fabbriche del 1901 si passò a 714 del 1964. Salvo leggeri regressi constatati dopo lo scoppio della prima e della seconda guerra mondiale, anche l’aumento della manodopera risultò sempre costante. Nel 1900 nel settore industriale ticinese si contavano 9’700 operai, nel 1964 si arrivò a 20’900.
Nel periodo che corre dal 1950 al1963 furano quattro i distretti che registrarono un aumento importante del numero di fabbriche: Lugano ebbe un incremento del 72%, Mendrisio del 48%, Bellinzona del 38%, Locarno del 30%. La maggior parte delle fabbriche, i due terzi del totale, era localizzata nei due distretti del Sottoceneri, mentre il 71% dei Comuni del distretto di Mendrisio contava almeno una fabbrica.
1960-1980: esplosione degli impieghi
Dal secondo dopo guerra importante fu l’inversione di tendenza prodotta dal mercato del lavoro ticinese. Mentre durante tutto l’Ottocento ed i primi 40 anni del secolo scorso gran parte dei lavoratori era stata costretta ad emigrare, dopo la seconda guerra mondiale il Ticino diventa una meta ambita, non solo per i lavoratori stranieri, che cercano le loro occasioni di lavoro, ma anche per i residenti. L’espansione di un elevatissimo numero di piccole aziende, fra le quali mi piace annoverare anche la Regazzi, è stata favorita, in gran parte, dalla sicurezza di poter disporre sempre di sufficiente manodopera estera (in maggior parte frontalieri-pendolari).
Se questo, da un lato, ha stimolato la crescita industriale sotto il profilo quantitativo, d’altro canto ha però contribuito, almeno all’inizio, a frenare il processo di razionalizzazione e meccanizzazione delle nostre fabbriche.
1980-Oggi: riconversione industriale
La riconversione industriale, attuata in gran parte negli anni ’70 e ’80, ha provveduto comunque a riequilibrare parte degli antichi scompensi. Quella che stiamo vivendo oggi, sta correggendone altri: tra questi mi pare fondamentale poter riequilibrare anche la partecipazione delle donne sul mercato del lavoro, oggi comunque inferiore di quella maschile e con aspirazioni a poter crescere, tema che fra l’altro sarà al centro dell’assemblea AITI di lunedì prossimo.
A tale proposito la rivoluzione tecnologica ci viene in aiuto: se da un lato il lavoro 4.0 impone una preparazione sempre più ampia nelle cosiddette materie STEM (science, technology, engineering and mathematics), fattore critico per le donne che sono, al momento, sottorappresentate in queste discipline. Al tempo stesso prevede criteri di flessibilità, ad esempio di orari e spazi, che invece vanno incontro alle necessità delle lavoratrici, e un’attitudine al lavoro di squadra che spesso caratterizza le competenze femminili.
Questo per dire che il cambiamento in atto amplierà – o quanto meno lo spero – le opportunità professionali e di carriera offerte dal ramo industriale anche all’altra metà del cielo, spezzando antichi stereotipi riguardo una preclusione del nostro settore industriale nei confronti delle lavoratrici femminili.
Siamo un Cantone che fà da ponte tra due delle aree economiche più robuste e dinamiche d’Europa: la Lombardia a sud (con il polo di Milano) e la regione di Zurigo a Nord. Il Ticino, istituzionalmente ben integrato nella Confederazione elvetica, appartiene alla cultura italiana ed è rivolto economicamente sia a nord che a sud.
Negli ultimi anni le oltre 200 industrie dell’AITI esportano più dell’80%, impiegano 19’000 collaboratori, registrano 19 miliardi di fatturato e formano 300 apprendisti ogni anno, concorrendo a generare il 20% del PIL cantonale. Tra i settori che esportano di più figura la metalmeccanica, il tessile e l’abbigliamento, la chimica e la farmaceutica, le materie plastiche e quello delle macchine e dell’elettronica.
Con queste cifre e presupposti credo che il settore industriale cantonale ha tutte le carte in regola per guardare al futuro con ottimismo. Bisogna essere onesti e ammettere che le nostre condizioni quadro sono migliori di Paesi a noi vicini, anche se sicuramente in molti ambiti si dovrebbe fare di più (penso a quello fiscale ma non solo).
Ciò detto è la politica a non voler fare la sua parte. A volte, si adottano misure poco efficaci solo per mostrare ai cittadini che si sta facendo qualcosa, che spesso si rivelano contrarie al diritto superiore generando anche un dannoso aumento della burocrazia (emblematica in tal senso la famosa tassa di collegamento che abbiamo combattuto). Avverto, in generale, poca ragionevolezza; stiamo perdendo la capacità delle passate generazioni di affrontare i temi con misura e un sano buon senso. La capacità di trovare soluzioni concrete dopo discussioni e concessioni reciproche è un elemento di forza della nostra politica. Ecco perché sarebbe auspicabile che in Parlamento sedessero più imprenditori poiché portano un contributo fondamentale alle decisioni politiche.
Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.
Post scriptum: per vostra informazione mi ricandido alle prossime elezioni federali del prossimo autunno, nel caso voleste veder riconfermata la presenza di un imprenditore in Parlamento…
Fabio Regazzi
Presidente AITI, consigliere nazionale
Venerdì 24 maggio 2019
Bellinzona, Auditorium Banca Stato
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