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Un’inedita alleanza tra socialisti e democentristi propone di concedere sgravi sui pagamenti della rete elettrica alle industrie metallurgiche. Il Federalista ha intervistato il presidente dell’USAM.

Redazione de Il Federalista

La Svizzera, per liberale tradizione, di norma non sovvenziona l’industria privata. L’ha fatto in qualche raro caso, quando l’azienda “da salvare” svolgeva un ruolo cosiddetto “sistemico” per la nostra economia (tutti ricordiamo il caso UBS o quello delle industrie farmaceutiche). Eppure siamo a un passo dal fare uno strappo alla regola, poiché due grandi industrie metallurgiche svizzere rischiano grosso. Un’inedita alleanza tra socialisti e democentristi propone di concedere sgravi sui pagamenti della rete elettrica alle industrie metallurgiche, così da permettere loro di rimanere concorrenziali con le industrie siderurgiche del resto d’Europa, le quali di aiuti statali beneficiano copiosamente, grazie alle politiche interventiste dei loro Governi.

La politica elvetica è di fronte a un dilemma. L’abbiamo sottoposto al consigliere agli Stati del Centro Fabio Regazzi.

Sono dolori per il settore dell’acciaio in Svizzera. L’industria siderurgica è messa alle corde da una combinazione di fattori avversi: il calo dei prezzi dell’acciaio sul mercato globale, la forza del franco svizzero, l’esplosione contemporanea dei prezzi dell’elettricità e la concorrenza estera che opera a costi inferiori e – spesso – con generosi aiuti statali. Problemi, questi, che hanno colpito -dopo la Stahl Gerlafingen- anche il gruppo Swiss Steel, che conta 10.000 dipendenti a livello mondiale.

Venerdì scorso, l’azienda ha annunciato un piano di riduzione del personale che prevede la soppressione di 800 posti a tempo pieno: 130 (distribuiti tra produzione e amministrazione) a Emmenbrücke , nel Canton Lucerna, dove Swiss Steel impiega 750 persone, e i restanti all’estero.


Una crisi profonda

Il settore è in ginocchio, e non da oggi: la situazione non è infatti migliore per Stahl Gerlafingen (Canton Soletta), l’altro grande nome dell’industria siderurgica svizzera, che conta 500 dipendenti. Già in ottobre l’azienda solettese aveva dichiarato la necessità di procedere a nuovi licenziamenti, i secondi nel corso del 2024: saranno 120 i collaboratori interessati. Questa decisione segue la riduzione di 60 posti di lavoro avvenuta la scorsa primavera.

Stahl Gerlafingen, proprietà di un gruppo veneto, ha sede a Soletta, produce il 50% dell’acciaio per il settore delle costruzioni in Svizzera, e lo fa utilizzando come materia prima i rottami d’acciaio elvetico. Di fatto è la più grande azienda di riciclaggio in Svizzera, per molti un vero gioiello essendo forse anche l’industria del settore con il bilancio energetico migliore del mondo.

Non è però solo l’acciaio a essere in difficoltà. Anche altri settori industriali svizzeri stanno soffrendo pesantemente. Nel settore del vetro, Vetropack ha chiuso il proprio stabilimento produttivo a Saint-Prex. Mentre per la produzione di alluminio, Novelis (in Vallese) ha subito gravi danni a causa delle recenti esondazioni del Rodano e la sua uscita di scena sta mettendo in difficoltà un altro gioiello dell’industria elvetica, il costruttore di treni Stadler.

Se non puoi esportare in Europa…

Insomma, se anche per altri rami dell’industria non sono tempi facili, per le aziende dei metalli i tempi sono davvero grami. Da qualche anno non possono più esportare come prima nel resto d’Europa, a causa di contingenti sull’acciaio svizzero introdotti dall’UE per i Paesi extracomunitari (e recentemente prolungati fino al 2026), sorvolando la richiesta elvetica di riconsiderare la questione.

Ecco perché, ad esempio, Stahl Garlafingen ha dovuto eliminare dal suo catalogo una parte dei prodotti esportati, soprattutto, verso il resto del Continente. E non vede all’orizzonte la possibilità di reintrodurli, onde tentare di rialzarsi.

Per farlo, insomma, avrebbe bisogno di aiuto. Da chi? Dalla Confederazione. Ma finora Berna ha sempre respinto l’idea di aiuti ad hoc. La situazione sta però suscitando una mobilitazione inedita nel panorama politico. Un’alleanza -che in questi casi si suole definire “contro natura”- tra democentristi e socialisti si sta infatti mobilitando allo scopo di salvaguardare l’industria siderurgica svizzera. I consiglieri nazionali Christian Imark (UDC/SO) e Roger Nordmann (PS/VD) stanno preparando un pacchetto di aiuti che è stato posto in discussione proprio oggi in seno alla Commissione dell’ambiente, della pianificazione, del territorio e dell’energia.

Sgravi sulle spese per la rete elettrica

Una delle croci del settore è il costo elevato dell’elettricità. Da un certo punto di vista (quello ambientale) uno degli atout delle industrie elvetiche è il loro ridotto consumo di gas e carbone, specie se confrontato con quello delle concorrenti di altri Paesi, in quanto le elvetiche traggono l’energia necessaria, dove possibile, dall’elettricità.

Ma da tempo ormai le spese per il trasporto dell’elettricità e per l’utilizzo della rete hanno subito, in Svizzera come nel resto d’Europa, una forte impennata. Stahl Gerlafingen ha pagato quasi 17 milioni di franchi per l’utilizzo della rete nel 2024. Non si tratta solo della spesa per il trasporto dei preziosi elettroni, ma soprattutto del costo operativo di quelle centrali elettriche che chi gestisce la rete (Swissgrid) utilizza per compensare gli sbalzi di consumo e di produzione che avvengono nel corso di una giornata.

È in questo contesto, che si inserisce il piano dei due consiglieri nazionali Nordmann (PS) e Imark (UDC). I due parlamentari vogliono intervenire sui costi energetici, riducendo gli importi che le aziende devono pagare per la componente “rete” inclusa nelle loro fatture per il consumo energia elettrica.

Lo sconto proposto è del 50% il primo anno, del 37,5% il secondo, del 25% il terzo e del 12,5% il quarto. Scopo dei ribassi è di aiutare le imprese a rimanere competitive, mentre si attende un ritorno graduale a un mercato positivo o a prezzi dell’elettricità più accettabili.

I due politici vogliono includere nel piano la fonderia vallesana di alluminio Novelis. Una tattica, quella di favorire anche un impianto di area svizzero francese, vistosamente intesa ad ampliare il numero di parlamentari interessati a sostenere l’idea.


Il Governo non è convinto
Ma i due paladini dell’insolita accoppiata PS-UDC dovranno fare i conti con il consigliere federale incaricato di vegliare sull’economia nazionale. Il ministro Guy Parmelin, anche lui democentrista, ha infatti ricondotto la sofferenza del settore siderurgico svizzero al contesto internazionale: “C’è sovraccapacità nella produzione di acciaio a livello mondiale e in particolare europeo “, ha detto in un’intervista, ricordando che Swiss Steel ha annunciato licenziamenti a livello globale e non solo in Svizzera. Questo spiega i bassi prezzi a livello internazionale, che rendono meno concorrenziale l’industria siderurgica elvetica.
Ecco perché il Governo federale si mostra particolarmente riluttante a creare quello che si suol chiamare “un precedente”: se oggi un aiuto lo richiedono i siderurgici, domani potrebbe essere il turno della (assai più importante) industria chimico-farmaceutica o della meccanica di precisione, quando l’imperativo categorico del Consiglio federale, in questo momento, rimane l’equilibrio dei conti. Parmelin fa dunque notare che i costi di rete che si vogliono scontare alle due acciaierie dovranno essere pagati da… Pantalone.

Ma forse una maggioranza c’è

Eppure, a quanto pare, il sostegno alla proposta di “soccorso” alla siderurgia nazionale in Parlamento trova buona accoglienza. Già in precedenza erano state avanzate mozioni sostenute dalle Camere. Lo stesso Imark (UDC) aveva argomentato in una precedente mozione che, oltre alla salvaguardia dei posti di lavoro, “esiste anche un’altra prospettiva, quella della rilevanza ambientale”. Oggi, la chiusura dei cicli di produzione è in cima alla lista delle priorità per l’economia e la politica. Ogni anno, in queste due acciaierie vengono riciclati circa 1,5 milioni di tonnellate di rottami d’acciaio svizzeri e trasformati in nuovi prodotti.

“Questi cicli di materiale non sarebbero più garantiti con la chiusura degli impianti – aggiungeva il deputato. Ciò significa che i rottami d’acciaio dovrebbero essere trasferiti all’estero con decine di migliaia di viaggi di autocarri, per esservi lavorati”. Un controsenso, dato che l’impatto sarebbe disastroso non solo dal punto di vista del carbonio ma anche dall’impatto sulle nostre autostrade, passi alpini in testa.

“Inoltre, i cicli chiusi di rottami d’acciaio -abbondava Imark- garantiscono il mantenimento delle relative materie prime in Svizzera”.

Roger Nordmann, ieri su Le Temps, ha rincarato la dose: “Sarebbe completamente stupido esportare i nostri rifiuti d’acciaio per farli trattare e poi reimportarli. Inoltre, le acciaierie svizzere sono tra le più ecologiche d’Europa, poiché funzionano con l’elettricità, mentre le altre spesso sono ancora alimentate a gas o carbone”.

Il dilemma Stato-mercato

La politica si trova insomma di fronte a un dilemma. Non fare nulla: le aziende svizzere non vengono mai (o quasi…) salvate dallo Stato. Se un’ azienda non ce la fa a stare in piedi è controproducente tenerla in vita ad oltranza. Si può quasi dire che per l’economia nel suo complesso sia conveniente lasciarla morire.

Ma per una parte consistente dei parlamentari non si tratterebbe di sussidiare un’impresa, bensì di rendere le condizioni quadro più corrette. Anche per il presidente di Unione Svizzera Arti e Mestieri, Fabio Regazzi, occorrerà agire con realismo: “La Svizzera per tradizione non pratica una politica industriale; lo Stato, salvo eccezioni, non interviene nelle dinamiche di mercato sovvenzionando alcuni settori piuttosto che altri. È una questione -direi quasi- culturale, storica”.

Regazzi si dice, in questo senso, “tendenzialmente d’accordo con il Consiglio Federale, poiché di principio dovremmo evitare di fare una politica di sovvenzionamento dell’industria, per evitare il rischio di entrare in una spirale dalla quale non si riesce più ad uscire: oggi è questo settore, domani sarà un altro, la volta dopo un terzo. In questo modo si rischia di aprire una sorta di vaso di Pandora”.

Eppure, aggiunge l’imprenditore, “in questo caso credo che occorra essere un po’ pragmatici e realisti. I Paesi europei sovvenzionano in modo importante le industrie metallurgiche e noi abbiamo queste aziende che non riescono più a tenere il passo con la concorrenza, proprio a causa di questa distorsione che si è venuta a creare. Cosa facciamo? Le lasciamo morire?”.

Oltre ai già citati problemi di natura ambientale, il senatore ricorda come si stia in ogni caso parlando di “centinaia di posti di lavoro: le due aziende insieme credo raggiungano i mille posti di lavoro. Lasciarle morire avrebbe delle conseguenze pesanti per quel che riguarda gli aiuti sociali, anche a livello di spesa pubblica, perché creeremmo parecchi disoccupati con le relative misure di Cassa Disoccupazione. Quindi comunque sarebbe un costo importante”.

Messi tutti i pesi sulla bilancia, l’intervento statale non appare più così assurdo nemmeno a Regazzi: “Sono arrivato alla conclusione che qualcosa forse si debba fare, magari turandoci il naso. Ma credo che un intervento, possibilmente limitato nel tempo e comunque circoscritto, si giustifichi proprio in nome di un sano realismo. Non sarei d’accordo di concedere sussidi diretti, ma con questa soluzione posso convivere”.

Insomma, a costi minori l’acciaio -lo ha affermato il ministro Parmelin- si trova per esempio in Turchia: ma il costo (anche ambientale) del trasporto vale la candela?

Per concludere, c’è chi ha fatto notare che andrebbe considerato come le imprese del settore elettrico in Svizzera non operano in perdita, bensì registrano utili (abbastanza sovente): stante che sono tutte di proprietà pubblica, una minima riduzione dei loro introiti non darebbe loro particolari grattacapi.