LaRegione di Stefano Guerra – foto (Keystone)

Nella foto Fabio Regazzi con il consigliere agli Stati turgoviese Jakob Stark (Udc)

Sì quasi unanime anche del Consiglio degli Stati alla mozione di Fabio Regazzi (Centro) per fermare ‘l’eutanasia attiva’ delle distillerie domestiche

Tenere in ordine un vigneto, per un hobbista, costa tempo e fatica. Molti non se la sono più sentita”. Così nel settembre del 2021 Sergio Peverelli spiegava dalle colonne della ‘Regione’ perché la tradizione di distillare grappa in proprio “un po’ si è persa”. Ex ispettore federale degli alcol per la Svizzera italiana, a quel tempo già in pensione, Peverelli stimava che il numero dei distillatori amatoriali con lo statuto di agricoltore titolari di una concessione di distillare uva o altra frutta era diminuito negli ultimi anni di “oltre un terzo” (da circa 300 che erano) in Ticino e in Mesolcina. Un declino che rientra in un fenomeno più vasto: quello dell’abbandono delle vigne, dovuto anche al fatto che “chi ha ereditato i terreni ha colto l’occasione per costruirci la casa” (sempre Peverelli).

Le cifre dell’Amministrazione federale delle dogane (Afd) danno un’idea: nel 2020 la metà delle 121 persone con statuto di agricoltore titolari di una concessione recensite in Ticino non disponeva più della superficie agricola minima (300 m2, nel caso di terreni in pendenza o terrazzati) per poter mantenere il permesso. L’ Afd sostiene che nessuna di loro si è opposta a questo ‘declassamento’ a piccolo produttore. Stando all’ Afd, per giunta, quattro anni fa solo 20 dei distillatori amatoriali avevano effettivamente utilizzato il proprio alambicco, producendo in litri appena l’1% del totale dei distillati ‘non professionali’ del Ticino.

Ripristinare le regole in vigore fino al 2020

Saranno anche pochi, ma per Fabio Regazzi la posta in gioco va ben oltre gli esigui numeri (che lui peraltro contesta: «I distillatori amatoriali sono molti di più»): «La tradizione conosce un declino, è innegabile. Ma che bisogno c’è di accelerare un processo naturale? Di praticare un’eutanasia attiva su una tradizione tramandata da generazioni e legata alla cultura contadina, in tutta la Svizzera?». Appunto, che bisogno c’è? È proprio quello che si sono detti ieri quasi tutti i ‘senatori’: la mozione (già approvata dal Nazionale) con la quale il consigliere agli Stati del Centro chiedeva in sostanza di ripristinare il regime in vigore fino al 2020 è stata accolta praticamente all’unanimità: 42 voti a favore, nessun contrario e solo due astenuti.

«Quasi da non credere», commenta a caldo il ‘senatore’ di Gordola. Il governo, che proponeva di respingere l’atto parlamentare, dovrà ora mettere mano alla base legale. In particolare: reintrodurre le concessioni per distillerie domestiche abrogate alla fine del 2020; e ristabilire la validità di quelle prolungate solo fino al 30 giugno 2025. Un esercizio che farà controvoglia. Karin Keller-Sutter non vede alcuna necessità di procedere in tal senso. Secondo la consigliera federale, «a quanto pare non esiste una grande richiesta per queste concessioni». Senza dimenticare che il vero pericolo non è dovuto alle disposizioni entrate in vigore nel 2020, bensì al fatto che «le nuove generazioni sembrano meno interessate a questo tipo di attività».

‘Storica tradizione dei cantoni rurali’

Regazzi ne è consapevole. Per questo non vuole «sopravvalutare la portata» della sua mozione. La ritiene cionondimeno «un segnale importante». Anche per un altro motivo: «Così si fa capire all’Amministrazione federale che non bisogna regolamentare tutto, persino laddove non sussiste alcun bisogno di farlo».

Il sì definitivo del parlamento alla mozione Regazzi fa felice anche Roberto Pronini, dal quale era venuto l’input per l’atto parlamentare. Per il direttore dell’Aet, viticoltore e distillatore amatoriale, fare la grappa è una tradizione di famiglia. Adesso lo sta insegnando a suo figlio: la quarta generazione. Raggiunto al telefono, spiega che «la decisione del Consiglio degli Stati renderà un po’ più facile tramandare da una generazione all’altra questa storica tradizione dei cantoni rurali». Altrimenti «avremmo corso il rischio che in poco tempo anche i pochi distillatori amatoriali rimasti si sarebbero dovuti rivolgere [come fanno attualmente altri 3mila e rotti piccoli produttori e agricoltori ticinesi, ndr] a un alambicco consortile», oppure a uno dei tre distillatori per conto terzi professionali presenti nel cantone.